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TIROATRÈ  "Ma tu, ma tu"
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Leggero e disinvolto, impregnato di una sottile, suadente eleganza vieux temps, ammantato di un rasserenante e suggestivo fascino desueto, “Ma tu, ma tu”, su etichetta Gutenberg, è la nuova fatica di Franco Boggero, genovese classe ’53, sovrintendente ai Beni Culturali e storico dell’arte per mestiere, cantautore per passione, una vita al servizio del bello, in ogni sua forma e manifestazione.

Dopo tre album da solista, è oggi protagonista di un godibilissimo ménage à trois con i sodali Franco Piccolo (fisarmonica) e Michele Cogorno (chitarra); il progetto, denominato Tiroatrè, dispensa con navigata nonchalance tredici tracce per quarantasei minuti di adorabile musica d’antan, fuori tempo e fuori moda quanto basta per concederle amore al primo ascolto e più di una lode per lo spavaldo coraggio di veleggiare controcorrente.

Disco mite e garbato, acquerello dalle tinte tenui, si disinteressa totalmente del 2025, delle mode imperanti, di inessenziali ammiccamenti di comodo ad un pubblico di ventura, baloccandosi invece con un bouquet di canzoni gentili, offerte sì agli astanti in veste nuda e spoglia, ma eseguite con fierezza e piglio autoriale, sguardo dritto in avanti ed un sorriso complice.

In cartellone, accanto ad alcuni inediti composti per l’occasione, trovano spazio brani già presenti sui precedenti album di Boggero (sono datate 2009 sia l’irresistibile “Mario”, scanzonata storia minima à la Gaber, sia la morbida mestizia di “Bonhomme”, tratte dal debutto “Lo so che non c’entra niente”, mentre allo scorso anno risalgono la pungente aria sudamericana di “Psicotango” e la verve sbarazzina di “Quasi un’abitudine”, dal lavoro omonimo), ed alcune cover di piccole e grandi perle del passato, qui riscoperte, rispolverate e rivisitate con devota fedeltà alle versioni originali, ma non senza personalità, stile, gusto.

Scorrono lievi e brillanti “Una giornata al mare”, scritta da Giorgio Conte ed incisa in origine dall’Equipe 84 nel 1971; “Passaggio a livello” di Enzo Jannacci, brano minore pubblicato come singolo nel 1961 agli albori della carriera ed incluso nel postumo “L’artista”; la misconosciuta, deliziosa “Angelo”, composta dall’amico Giovanni Peirone; una centrata riedizione di “Nottegiorno” di Paolo Conte, toccante racconto di rinascita post-bellica splendidamente interpretata dall’indimenticabile Milva nel 1983; una vibrante rilettura di “Cosa sono le nuvole”, testo-poesia di Pier Paolo Pasolini e musica di Domenico Modugno, che la portò alla ribalta nel lontano 1968.

Dal blues sui generis della title-track all’arpeggio bucolico de “I colori del vento”, dalla sfuggente melanconia di “Lampi del ‘71” (Vera Vittoria Rossa alla voce) alla struggente chiusa strumentale con echi à la Peter Green di “We are Right in the Middle”, ogni episodio è una preziosa tessera in un mosaico armonioso, in cui ciascuna intuizione arricchisce l’insieme con grazia e naturalezza, senza azzardi o forzature: ne scaturisce un disco omogeneo e gradevole, raffinato e composto, gradevole come una carezza, prezioso nella sua caparbia, insistita ricerca di un linguaggio espressivo tanto consolidato quanto inatteso, sempre e comunque ammaliante, amabile, avvolgente. (Manuel Maverna)