MAQUILLAGE "ArMOR"
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Mi fossi imbattuto in un disco così trent’anni fa, sarei stato molto contento. Entusiasta, direi.
Avrei telefonato a Luca, lo avrei indotto a fidarsi della mia parola e gli avrei proposto di andare insieme, alla prima occasione utile, a sentire dal vivo questo quintetto belga, peraltro con lead vocalist femminile, cosa che Luca avrebbe apprezzato. Avrebbe forse nicchiato sul Belgio, ma – nel caso - gli avrei semplicemente ricordato l’esistenza dei dEUS.
La prima domanda che Luca mi avrebbe posto sarebbe stata senza dubbio: “Quanto costa il biglietto?”, perché è sempre stato un po’ stretto di manica, diciamo attento al bilancio, ecco.
Subito dopo, nel caso il prezzo fosse stato accettabile, e ben conoscendo la disinvolta apertura dei miei ascolti (a differenza dei suoi), avrebbe inevitabilmente chiesto l’ovvio: “Che genere fanno?”.
Gli avrei risposto che la band, chiamata Maquillage (“il nome non mi ispira”, avrebbe obiettato), era di area post-punk, con tendenza piuttosto spiccata al dream-pop, al che avrebbe sbuffato, temendo di cadere in una mia imboscata e di finire al cospetto di cloni insipidi di artisti blasonati.
Alla fine, avrebbe accettato: lo avrei ricattato, ricordandogli di quella volta che mi portò a vedere i Transvision Vamp al Rolling Stone, lui mi avrebbe rinfacciato Elton John al Palatrussardi, avremmo fatto pari e patta, e due lire per i Maquillage le avremmo spese. Io volentieri, lui tenendo il muso, senza poi darmi la soddisfazione di ammettere che gli erano piaciuti.
Tornando ai giorni nostri, siamo nel 2025, ai concerti vado oramai saltuariamente, perché non ho più l’età per stare ore in piedi, circondato da gente dell’età di mia figlia che sa di birra ed altro, e mi alita sul collo nella calca: però, sapete com’è, il lupo perde il pelo, eccetera, e quindi, come sostengo da sempre, se hai amato un certo tipo di musica una vita fa, la amerai per sempre.
Evviva dunque i Maquillage, con la veronese Gioia Podestà alla voce ed i suoi quattro accoliti (il co-fondatore Nick Symoens, Jeroen Huyzentruyt, Walter Marantino, August Corthouts) a degnamente sostenerne il crooning, che è suadente ed insinuante, ma che è soltanto uno degli atout di “ArMOR”, delizioso debutto su etichetta Silverback Artist Collective/Shore Dive Records, dieci tracce per trentaquattro minuti da godersi in santa pace con tanti bei ricordi in mente.
Non c’è soltanto la vocalità di Gioia: c’è il suono, definito e pieno, rotondo, saturo quando serve; c’è una brillante (auto)produzione che mette in risalto ogni sfumatura senza soffocare, schiacciare o sacrificare; soprattutto, ci sono le canzoni, arricchite da linee melodiche importanti, disegnate con grazia, cura, gusto e armonia.
“DFA” apre irresistibile – piccola, riposta meraviglia che sa di giorni lontani - con giro di basso imperioso, voce filtrata, synth dilaganti, chorus soave, e sono sempre le quattro corde a portare a spasso una sontuosa “Again”, chitarra à la Cure e voce nascosta tra nebbie sulfuree che sanno di Cocteau Twins e di DIIV; “Are You Safe?” – quasi i Cranes - centra un altro inciso memorabile, mentre “Cosmic Circles”, puro My Bloody Valentine sound, al contempo avvolgente e infido, sigilla la prima parte dell’album, allettante sì, ma attendista e devota ai maestri.
Poi, ex abrupto, “ArMOR” inizia a sprigionare un’energia nuova ed inattesa, esibendo personalità e creatività avulse dal retaggio di passate glorie altrui, imboccando una strada diversa, peculiare, distintiva: si tratti dell’aura anni ottanta – con slegata outro estatica - che ammanta “Moon” o del battito incalzante di “Shadows”, dell’aria rarefatta à la Mazzy Star di “Drift”, della chitarra tagliente che ferisce il passo spedito di “Flowers” o della concitata frenesia di “Closer”, lo sfoggio di estro e urgenza rimane immutato, il clima vivace, l’ispirazione durevole e persistente.
In coda, rimane solo il tempo per una intensa, fremente “Desire”, suggello in crescendo, sulle ali dell’ennesima melodia rigonfia e vibrante, di un lavoro sfaccettato e meticoloso, sorprendente nello svelare gradualmente, con inusitata efficacia e spavalda disinvoltura, la propria seducente malìa, incastonata in una musica elegante che ha classe e misura, garbo e profondità, morbidezza ed appeal. (Manuel Maverna)