recensioni dischi
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FLAVIO GIURATO  "Marco Polo"
   (1984 )

Finalmente è arrivato, intonso e intatto e indifferente alle malizie dei corrieri come lo è stato per lunghissimi anni il suo master a quelle del tempo, è arrivato nel suo bel vinile giallo, 300 copie numerate e con autografo. Soldi ben spesi. Ottimamente spesi.

Autentica pietra miliare il trittico di Flavio Giurato, uno dei primi cinque cantautori italiani della mia personale classifica, chiuso nel 1984 trionfalmente e con una cesura a suo modo drammatica da questo intrigante e enigmatico “Marco Polo” registrato tra Milano e Londra (i mitici Air studios con produzione di Ray Cooper).

Ecco prima di tutto la lista degli artefici Flavio Giurato - voce, cori, chitarra elettrica, pianoforte, tamburello; Ray Cooper - congas, cabasa, tamburello basco; Piero Tievoli - chitarra classica, cori, chitarra elettrica; Roberto Ricci - basso; Toto Torquati pianoforte, organo Hammond; Enzo Barbieri - batteria; Antonello Libonati - armonica; Gianfranco Leone - armonica a bocca; Nino Pirolo - tromba; Benedetto Ferri, Eugenio Valentini, Andrea Giacco – cori.

Un concept album in due parti, in cui nulla è ciò che sembra, e tutto allude, rimanda, rimastica e si rimescola, in un’architettura coesa e al tempo stesso irriducibile, sfuggente, implacabile.

Siamo al cospetto - per la prima volta in vinile - di un disco di una poeticità e a tratti anche liricità struggente, ma anche come detto di un mondo chiuso, assoluto, misterico e misterioso e perfetto nella sua eccentricità.

Con questo lavoro Giurato – fratello del più noto Luca, conduttore tv morto lo scorso anno – iniziò un periodo di assenza dalle scene che durò fino al 2002, anno in cui uscì “Il manuale del cantautore”. Eppure, come detto, era il coronamento ideale di un trittico di concept album (modalità poco nota in Italia a parte i dischi di successo di Bennato).

Questo "Marco Polo" aveva infatti alle spalle "Per futili motivi" del 1978, prodotto da Michelangelo Romano, producer dietro a capolavori di Venditti e Vecchioni, e soprattutto "Il tuffatore" del 1982, celebre grazie ai videoclip nati nell’ambito della trasmissione Tv di culto di Carlo Massarini "Mister Fantasy".

Insomma, aveva tutti i numeri per sfondare o almeno uscire dal circuito indipendente, il nostro buon Giurato, non dico di diventare un Fortis o un Camerini o un Righeira (Dio ne ne liberi) ma avere una carriere autonoma di medio successo, eppure avvenne ciò che la CGD temeva, ossia che in un paese di Sanremi e canzonette, proiettato verso l’edonismo reaganiano, un artista così ebbe poca voce in capitolo e poca voglia di volerlo, e tutto il vantaggio di un vivere nascosto alla Lucrezio.

Come tutti i geni, brilla di luce propria; eppure, ha fatto migliaia di proseliti, grazie a questo trittico tra fine Settanta e metà Ottanta. Non che le canzoni degli anni Duemila non siano alla sua altezza, ma il trio, e il conseguente uscir di scena dal perimetro della discografia ufficiale salvo qualche riedizione in cd, sono una storia nella storia, una pagina indelebile della canzone italica che ha l’aura del mito.

E che mito: parlare in modo capillare e ombelicale di una generazione divisa tra impegno, disimpegno, terrorismo e consumismo, rifacendosi ai volti e ai miti della storia, all’illusione della dittatura come alle sirene dei grandi viaggi di esplorazione. Un viaggio interiore a suon di musica dove i riferimenti alle migliori sirene del cantautorato d’autore sono palpabili, ma si sente che sono stati introiettati, digeriti e metabolizzati in un amalgama che è, a distanza di 40 anni, perfettamente riconoscibile e oltremodo attuale.

Inutile dire, i miei 25 lettori già lo sanno, che canzoni così andrebbero fatte ascoltare in loop per almeno un mese agli adepti delle schifezze che oggi ciò che resta dell’industria musicale propina sulle varie piattaforme. E gli andrebbe propinato senza spiegazione, come una cura Ludovico a guisa di quella che spetta allo sventurato Alex in “Arancia meccanica”. Ci siamo capiti.

Il mondo va da altre parti? E chi se ne frega? Io mi tengo i miei vinili di Giurato, del primo disco e di questo del 1984, che per anni sono stati reperibili solo su YouTube, e il cd che scovai in un market mainstream nei primi anni novanta del “Tuffatore”. Vodo 10 e lode, e ingresso ufficiale nella mia esclusivissima Hall of Fame. (Lorenzo Morandotti)