GERARDO BALESTRIERI "Canzoni di rabbia e di guerra"
(2025 )
“Finalmente!”. Questa è stata la mia prima esclamazione dopo l’ascolto del quindicesimo album del cantautore apolide e polistrumentista Gerardo Balestrieri.
Trattasi di un album ispirato sia dalla profonda sensibilità dell’artista che dagli alti valori etici che dimorano dietro le quinte dei suoi meravigliosi e diretti testi di denuncia, nei quali, da autentico essere umano vicino ai valori cristici, addita il male nelle sue diverse forme.
Nel brano d’apertura dal titolo “50mila morti” vi è un sound tendente all’hard rock, in cui la funambolica chitarra elettrica ed il sax rivestono il ruolo di protagonisti strumentali. I veri protagonisti, però, sono la voce di Pierpaolo Capovilla ed il forte testo esplicito di Gerardo Balestrieri.
La potenza di questo testo è dirompente ed espone la cruda realtà così com’è. Le vite umane non contano assolutamente nulla per i padroni universali, i quali alimentano i loro sporchi affari seminando morte e distruzione e provocando volontariamente guerre. Per la loro sete di potere e di sangue l’essere umano è sacrificabile, è carne da macello.
L’autografare persino i missili, sorridendo compiaciuti dinanzi alla telecamera, sancisce il loro completo distacco dalla propria anima e dalla propria umanità. Ritornano subito alla mente espressioni pronunciate da vari governanti occidentali come “Bombe umanitarie”, o “Se vogliamo la pace prepariamoci alla guerra”: vere e proprie assurdità. La guerra diventa uno spettacolo: “E’ un deserto di morti e la chiameranno pace”.
Tutto questo mentre il mondo continua tranquillamente ad andare avanti come se nulla fosse: “50mila morti e non ce ne siamo accorti. Eravamo troppo presi. Ci eravamo un po' distratti nel considerare i fatti”.
“Festival” racconta invece in modo esemplare tutti i diversi e faticosi compromessi ai quali un artista, se in possesso di un certo spessore morale ed etico, è costretto a cedere per partecipare ed esibirsi al Festival di Sanremo: “Tritato per bene tra pestello e mortaio. Se si sale o si scende lo decide il giostraio”.
Le Major la fanno da padroni, costringendo a tutta una serie di sistemiche adempienze l’artista il quale, ob torto collo, deve inghiottirle e farsele andar bene. Basso e batteria puntellano le fondamenta ritmiche unitamente alla parte arpeggiata della chitarra classica. Le note del sintetizzatore apportano quel leggero tocco psichedelico che ben contribuisce all’atmosfera del brano.
Il blues dal titolo “Kurtz” descrive l’orrore della guerra con tutta la tragedia umana che con sé trascina. L’atmosfera da film western creata dalla musica si armonizza alla perfezione con il testo tratto dal monologo di Marlon Brando nel film ''Apocalypse now'', secondo cui il soldato perfetto è colui che possiede senso morale; nel contempo, però, è anche capace di uccidere senza passione e soprattutto senza giudizio, perché è quest’ultimo che lo indebolisce.
“Neanche una parola in Occidente” e “Chissà” sono invece due canzoni che si tengono per mano. Nella prima il testo parla da sé: è limpido e chiaro come l’acqua di un ruscello illuminata dal sole. Su delle mistiche sonorità orientali e con l’uso della scala minore armonica, il testo si dipana con tutta la sua energia.
L’Occidente tace riguardo ai vari massacri e genocidi che devastano il mondo. Civili ed innocenti sterminati in bagni di sangue mentre l’Occidente non prende alcuna iniziativa per fermare la carneficina. Da tale comportamento è evidente l’assoluta complicità di quello che il filosofo Diego Fusaro ha rinominato da diversi anni l’Uccidente: uccidere l’ente e obliare l’essere.
Nella seconda, “Chissà”, l’autore si pone diversì interrogativi. Si domanda, infatti, cosa porta l’uomo ad uccidere un altro uomo e quali sensazioni prova nel vedere dilaniato il corpo di un altro essere umano al quale ha procurato la morte. Cosa prova nel guardare attraverso il mirino di un fucile e nello sparare ad un bambino, rendendolo invalido per tutta la vita, come fosse un bel gioco? Sono perfettamente descritte diverse nefandezze orripilanti che degradano l’uomo, scaraventandolo ai livelli più bassi e miserevoli della scala evolutiva universale.
I meravigliosi valzer “La paura” e “La paura B” non hanno nulla da invidiare, dal punto di vista dell’interpretazione vocale del testo, ad alcune ballate di Fabrizio de Andrè. Inoltre, vi è una forte impronta elettrica e lirica grazie alla presenza sia della chitarra che di un coro molto originale.
La paura tiene da sempre sotto scacco l’essere umano. I versi finali sono emblematici: “E più o meno a 20 anni si decide il destino di chi parte, chi avanza, chi resta e chi muor ragazzino”.
Le immagini che in questa nostra cruenta contemporaneità ritornano subito alla mente, sono quelle dei feroci reclutatori ucraini, i quali, senza alcuno scrupolo, catturano in maniera coatta giovani e uomini di ogni età, mandandoli a morire al fronte per gli interessi dell’Occidente.
Sono sempre loro, i padroni universali, “quelli che sono abituati da secoli, a riempirsi la pancia di carne umana e le tasche di soldi”.
“Si fa presto a cantare d’amore” è una ballata malinconica.
Chiusi nella propria stanza, soli, davanti ad un computer, ci si paralizza e tutto diventa opaco senza lasciar comprendere la vera essenza della vita.
Chiude l’album la canzone dal titolo “Mare”. L’inizio è evocativo.
Si ode il suono misto delle onde del mare, del vento e degli archi che conducono immediatamente l’ascoltatore in luoghi dell’anima profondi e nascosti. Il tutto accompagnato da una musica emozionante ed intensa eseguita dall’autore e dai suoi superlativi amici musicisti.
In questo brano finale una voce di donna declama con passione il testo epico e drammatico scritto dall’autore.
La tragedia è servita, ma anche e soprattutto la speranza e il desiderio di restare vivi, così come indicato dall’autore stesso.
Una musica sofferente, ma dolce al tempo stesso.
Sono certo che non capiterà molto presto di ascoltare un album così intensamente realizzato sotto tutti i punti di vista.
La musica ed il testo procedono sempre di pari passo e si fondono come due amici inseparabili che hanno affrontato insieme numerose avversità, ma vissuto anche momenti lieti.
Gerardo Balestrieri nel comporre questo album, oltre alla sua grande personalità ed esperienza maturata in tanti anni di attività, sarà stato anche ispirato da sfere di esistenza superiori che guardano a noi, poveri terrestri malconci.
Vogliono aiutarci, ma noi li ignoriamo e rifiutiamo il loro aiuto.
Definiscono il nostro pianeta meraviglioso e unico nell’universo, ma a causa del criminoso comportamento umano (soprattutto di chi detiene il potere e cioè burattinai e burattini) anche disonorato.
Un album che era necessario e urgente e che porta a riflessioni profondissime sulla grave e critica situazione in cui l’essere umano si trova in questo momento storico.
Grazie, Gerardo Balestrieri, per questo grande contributo che hai voluto offrire al mondo intero. (Lorenzo Tarantino)