MICAH P. HINSON "The tomorrow man"
(2025 )
Un gran bel disco autunnale, un viaggio emotivo, un sogno a occhi aperti perfetto per questa terra di mezzo incorporea tra Halloween e Natale.
Riflessivo, ponderoso e da ponderare, intimo e introspettivo, da esplorare con attenzione ascolto dopo ascolto. Un disco non per tutti ma che conquista.
Confesso che non conoscevo granchè (mea culpa) l’artista texano Micah P. Hinson, che torna con ''The Tomorrow Man'' per il marchio italiano Ponderosa Music.
Rispetto alle sue produzioni precedenti, questo album segna un cambiamento: lascia alle spalle in parte il suo folk/alt-folk più crudo ed oscuro per abbracciare sonorità orchestrali, un approccio più “crooner” e narrativa centrata sulla voce e sulle emozioni.
Un disco italico, come è capitato ad altri cantautori americani di immergere, metaforicamente parlando, i panni in Arno, penso a Jono Manson. Il nostro ha lavorato insieme al produttore italiano Alessandro “Asso” Stefana, con l’Ensemble di Benevento diretta da Raffaele Tiseo, contributo che dà al disco un sapore «americano» nelle radici ma «europeo» nell’approccio produttivo.
A un primo ascolto colpiscono naturalmente le orchestrazioni: archi, ottoni, arrangiamenti ricchi, quasi cinematografici, ed è appunto un film mentale che l’ascoltatore è chiamato a ricreare nel cervello, che è il vero organo sensoriale. Che ci può difendere dall’assalto dell’artificiale digitale.
Come il mitico e inarrivabile Cash, il nostro, che a tratti rammenta quel genio incontrastato di Elvis Costello, ha una voce vissuta e grave, e le sue storie parlano di fede, perduta e agognata, di speranze, illusioni, perdite e liberazioni, uno spaccato psicologico del suo Paese in forma musicale, e un altro valore è il muoversi alla ricerca di nuovi confini. Molto americano.
Tra le perle del disco, che spazia dal country al folk (non mancando di strizzare l’occhio a Leonard Cohen e Nick Cave), da citare “Walls”, metafora delle barriere emotive che costruiamo intorno a noi, tema forte del disco anche se un po’ watersiano. Ma non è detto affatto che l'ex Floyd, megalomane e ormai ampiamente stucchevole nella sua autoreferenzialità, sia l'unico ad avere l'appannaggio di certi temi.
Un disco da ascoltare in cuffia, meditativo e che merita un 8 in attesa di opportuna verifica di tenuta dal vivo. (Lorenzo Morandotti)