METANOIA "Se non fosse tutto qui?"
(2025 )
I Metanoia sono una band giunta al secondo EP, dal titolo che promette bene: “Se non fosse tutto qui?”. È sempre apprezzata la ricerca di significati più elevati nell'esistenza, ricordando che siamo noi a creare il senso, non ce n'è uno prefissato.
Peccato che, in cinque canzoni, i Metanoia cerchino cinque argomenti diversi, ma non arriva mai la proposta di un significato alternativo. La canzone di apertura, “Mi sono rotto il c***o”, assomiglia davvero troppo a quella omonima de Lo Stato Sociale, non tanto per melodia ed armonia, che è diversa e funziona come canzone pop con un bel ritornello; ma proprio perché ha lo stesso tono, sembra la seconda parte del brano del gruppo di Lodo Guenzi.
“Chiodo arrugginito” è uno dei due brani più efficaci, un funky su una relazione finita che si trascina, non si riesce a voltare pagina: “Sei come un chiodo arrugginito che non lascia scampo, che ti uccide lentamente eppure non ti porta via con sé”. Questa sarebbe da spingere, è tanto orecchiabile.
Poi arrivano le note parzialmente dolenti: “Blu” e “Esseri umani” sarebbero le due canzoni impegnate, la prima sui migranti che ancora naufragano nel Mar Mediterraneo, la seconda su un senzatetto (“Il cielo è il tuo tetto”). “Blu” fa capire che non tutti sopravvivono. Inizia con “Peccato che su questa barca siamo in trecento”, e a metà brano la strofa diventa: “Peccato che su questa barca siamo rimasti in cento”.
È lodevole continuare a ricordare che questa strage non vuole finire, per tante persone con “L'Europa nei sogni”; bello anche il crescendo musicale, con l'assolo di chitarra elettrica che ricalca la melodia del ritornello. Ma c'è qualcosa che non so spiegare, che stona. O forse è perché di canzoni sui “barconi” ne sono uscite tantissime in questi 10 anni, e sentirne ancora un'altra può causare l'effetto opposto di quello che i Metanoia chiaramente vorrebbero, cioè la rottura della bolla dell'indifferenza. Ci stiamo abituando al dolore altrui, ma forse è solo un effetto collaterale di chi come me deve ascoltare migliaia di brani.
L'elemento che stona mi diventa più chiaro in “Esseri umani”. La canzone si rivolge amichevolmente a un vagabondo: “Conosci bene il freddo, ma è degli esseri umani che hai paura ormai”. Il ritornello è molto retorico: “Ma te lo ricordi dentro questa città che cosa voglia dire essere un essere umano, non lo so, chissà”. La strofa successiva continua con l'omelia: “Ed è l'indifferenza qui il problema, che ci divide in bolle giganti, ognuno la sua”.
La buona intenzione è innegabile, ma per scrivere una canzone “impegnata” bisogna riuscire ad andare un po' oltre la predica del prete. Altrimenti l'ascoltatore si allontana. Va preso al cuore, all'emozione, con colpi bassi.
Infatti, l'altra canzone ben riuscita è quella che chiude l'EP, “Camilla”. Lo sguardo intimo, e un ritmo in 6/8 dove la chitarra acustica gioca spesso a fare il valzer, ci raccontano una “bambina distratta che cresce e gira gli ospedali”. Non sappiamo che cos'abbia Camilla, ma già siamo coinvolti. Camilla diventa grande, e il cantante si chiede dove sia finita: “E non lo so se con gli anni hai imparato ad amarti, o forse solo a sfuggirti, a nasconderti in un abbraccio di chi non sa capirti”.
Il suo destino è quello di un “fiore dimenticato in un castello”. Nessuna predica, solo un'immagine poetica, e noi ci chiediamo: ma con chi è finita Camilla? Come sta adesso? E la dolcezza della musica trasforma in una fiaba una storia probabilmente reale (o realistica).
Consiglio questa strada ai Metanoia, lasciando perdere gli Stato Sociale, che gli anni Dieci son finiti. Perché per ora manca la risposta alla domanda dell'EP: se non fosse tutto qui? Il prossimo passo dei Metanoia potrebbe essere dare spazio all'alternativa, raccontando ad esempio episodi realmente accaduti di altruismo, di bontà e di affetto.
Il male lo conosciamo e ce lo propinano quotidianamente per tenerci spaventati, ma il male è davvero “tutto qui”, è banale come ci ha spiegato Arendt. Delle canzoni che ispirino un'altra visione, potrebbero trasmetterci davvero che c'è di più. (Gilberto Ongaro)