recensioni dischi
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TATIANA PARIS  "Thalle"
   (2025 )

Con ''Thalle'', uscito per Carton records, Tatiana Paris firma un’opera che sfugge alle classificazioni semplici.

Il titolo, che richiama il “tallo” – organismo privo di radici e foglie, come licheni e alghe – è già una dichiarazione poetica: una musica che cresce senza appoggiarsi a strutture convenzionali, ma che si sviluppa in modo organico e coerente.

L’album si apre con ''Intro'', un invito sommesso che prepara il terreno a un viaggio sonoro fatto di contrasti e delicatezze. Le due tracce omonime, ''t h a l l e l'' e ''t h a l l e ll'', sono lunghe distese di drone agli organi, suonate da Rachel Langlais, che instaurano un tempo dilatato, quasi liturgico.

Tra queste isole sonore si insinuano miniature intime: ''Pagaille'' tintinna e si frantuma, ''Canine'' brilla di purezza cristallina, mentre ''Grand Duc'' si muove come un metronomo scomposto, sospeso tra chitarra preparata e timbri ibridi.

Tatiana Paris lavora con un arsenale eterogeneo – chitarra preparata, voce, piezo, radio, synth modulare, oggetti – ma il risultato non è mai gratuito. Ogni suono sembra cercare la sua collocazione in un ecosistema fragile, dove il caos trova ordine attraverso micro-correlazioni.

È insomma, la sua, una musica che non punta all’originalità forzata, ma alla sincerità: un minimalismo caldo, epidermico, che trasmette prossimità e ascolto profondo.

Se il precedente ''Gibbon'' (2022) mostrava già la sua inclinazione sperimentale, ''Thalle'' la conferma e la amplifica: un disco esigente, ma capace di regalare momenti di pura contemplazione.

Non è solo un album, è un organismo vivo, che respira lentamente e invita a rallentare il proprio ritmo per percepire altre temporalità.

In sintesi: ''Thalle'' è un’opera che intreccia drone, improvvisazione e poesia sonora in un continuum meditativo. Un disco che non cerca di piacere a tutti, ma che conquista chi è disposto a lasciarsi avvolgere dalla sua discreta radicalità. (Andrea Rossi)