TAURN "Somewhere cold"
(2025 )
I Taurn sono un quintetto jazz italiano ma affascinato dall'atmosfera newyorchese, perlomeno di quella New York ideale e cosmopolita che abbiamo tutti in mente. Uscito per Emme Record Label, “Somewhere cold” è il loro disco d'esordio.
Nelle sue tracce si riconoscono i consueti percorsi di improvvisazione, tra assoli di sax tenore e pianoforte, chitarra elettrica pulita, contrabbasso e batteria. “Dune” si muove tra modulazioni ed energia ritmica, mentre “Disordinato” inserisce una melodia e una progressione armonica che esprime un po' di malinconia, pur sempre nella rapidità.
“Fluid Nature” si fa più rarefatta, incentrata sugli accordi distesi di pianoforte. Il pianista cambia intenzione in “Drunk Blowout”, con un inciso secco e inquieto, a cui la band risponde con altrettanta secchezza e decisione. Più che cool jazz, potremmo parlare di dry jazz... C'è anche un momento senza batteria, dove dialogano piano e sax, e per qualche motivo, la loro scelta di farlo in staccato dà un esito curioso e straniante.
Il brano che da il nome alla formazione, “Taurn”, vede la chitarra ricalcare il tema che è incalzato da impetuosi bassi di pianoforte. Come diceva un mio compagno di suonate, questo brano comunica un “cauto ottimismo”, con quel sobrio tema in tonalità maggiore, suonato con vivacità ma senza strabordare.
Con “Artificiale” succede qualcosa di diverso: un suono di fondo cattura l'attenzione, e attorno ci improvvisa il contrabbasso, mentre la chitarra si limita ad emettere dei rumori secchi in delay. Un'introduzione suggestiva che avvia un sinuoso tema di pianoforte.
“Intro” è un intero brano di 2 minuti di improvvisazione scatenata del solo sax sopra la batteria, che quando decide di chiamare il tema dà il via alla traccia successiva, cioè “Perseguito”, diventando un classico swing, di quelli a un BPM impegnativo (sarà circa 250...).
Il comunicato stampa ci dice che la titletrack è il brano più “newyorchese” dell'album. Sarà, io non sono mai stato nella Grande Mela, ma sinceramente non mi interessa molto. Il brano ha un bel crescendo energico e funziona, ma credo che ormai possiamo tranquillamente far nostre le influenze che abbiamo importato in un secolo di dominio culturale, e non sentirci più in soggezione. Il jazz italiano esiste e ha sviluppato una propria impronta, non per forza quella “mediterranea”.
“Secular Rise”, che chiude l'album, ne è la prova: l'impetuoso e strepitoso crescendo a tre quarti del brano, contiene una progressione armonica che sembra uscita dalla musica romantica europea. Non voglio fare il Vecchioni della situazione, vista l'ultima uscita infelice tra le bandiere blu stellate, però dai, un po' è vero, alcune soluzioni formali vengono in mente prima a noi del Vecchio Continente.
Ben venga l'influenza newyorchese, centrale per il genere più interculturale di sempre. Ma i Taurn non sono da meno! (Gilberto Ongaro)