TENDER ENDER "Black swan"
(2025 )
Il debutto solista di Thomas Schmidiger, alias Tender Ender, è un’opera che sfugge alle definizioni semplici.
''Black Swan'' si presenta come un disco che abbraccia l’ossimoro: “doomsday pop”, lo hanno chiamato alcuni, e non è difficile capire perché.
Le nove tracce oscillano tra opulenza e fragilità, tra melodie luminose e un sottotesto inquieto, come se ogni canzone fosse sospesa sull’orlo di un precipizio emotivo.
Il cuore dell’album è il pianoforte, strumento che Schmidiger ama da sempre, ma qui è immerso in un paesaggio sonoro stratificato: archi che fendono il cielo, synth atmosferici, e una voce che ricorda la profondità soul di Benjamin Clementine, pur mantenendo una sua unicità.
Brani come “At My Will” e “Float” incarnano questa tensione: il primo è lirico e quasi teatrale, il secondo si muove come un’onda lenta, ipnotica, che avvolge l’ascoltatore.
Non mancano momenti più sperimentali, come “No Way Out”, dove il ritmo si fa pulsante e le armonie sembrano esplodere in un caos controllato. Al contrario, pezzi come “Escape Myself” e “No Better Place” richiedono tempo per rivelare la loro complessità, ma ripagano con una profondità emotiva rara.
Il tutto è cucito con una produzione elegante, che trasforma il senso di fine imminente in qualcosa di stranamente consolante. Il titolo, ''Black Swan'', non è casuale: come il cigno nero, il disco è un’anomalia, un “felice incidente” che non porta buone notizie ma bellezza inattesa.
È musica che sembra provenire da un futuro incerto, ma che parla con sincerità del presente: alienazione, desiderio di connessione, e la ricerca di un rifugio estetico in mezzo al caos. Un viaggio cinematografico in forma di album: opulento, malinconico, eppure capace di offrire calore nel suo gelo apocalittico.
Un debutto che non si limita a presentare un artista, ma a costruire un mondo sonoro dove il perturbante diventa poesia. (Andrea Rossi)