RICHARD ASHCROFT "Lovin' you"
(2025 )
Personalmente ho sempre pensato a Richard come a una specie di cugino, o fratello maggiore, di Paul Weller dei Jam prima e degli Style Council dopo. Senza averne pari successo, il che è una delle tante storture incomprensibili di questo mondo.
Comunque c’è un istante, ascoltando ''Lovin’ You'', in cui viene spontaneo chiedersi se Richard non abbia fatto qualche patto col diavolo per garantirsi eterna giovinezza, da sfruttare in questo tempo un po' bolso di revival e ripescaggi.
Anche chi era leader negli anni '90 deve pur guadagnarsi la pensione, anche tornando in tour con gli Oasis, perché no?
Il nuovo album – settimo da solista, primo con inediti dal 2018 – stilisticamente non fa una grinza ma deve pur sempre confrontarsi col passato. Che è ingombrante se si chiama ''Urban Hymns''.
Questo disco, insomma, può essere un bignami di lusso, ovvero la porta per accedere a un mondo di nostalgia effervescente, e va sottolineato con la dovuta forza che Ashcroft è uno dei pochi a cui riesce di dire qualcosa di nuovo senza sembrare parodia di sé stesso.
Da non mancare la reinterpretazione di “Love and Affection” della mitica Joan Armatrading, elegante ed equilibrata, a stabilire un po' tutta la cifra del disco nuovo: che è un concentrato mai stucchevole di ballate orchestrali, indie rock, punte di americana, spruzzi soul ed elettronici.
Sarà ansia da prestazione? Vogliamo troppo bene a Richard, e in questo indubitabilmente siamo di parte, per far notare che, qui come altrove, il fantasma dei Verve aleggia, come il fantasma di Banquo in Macbeth non si può certo mandare alle ortiche.
Ma non ingombra, questo fantasma, perché ''Lovin’ You'' non tenta di replicare ''Urban Hymns'' – sarebbe ridicolo – ma ne utilizza il linguaggio emotivo, i suoi codici non poi così esoterici ed arcani ma di pronta beva per chi ama il Britpop. Fatti di malinconia, nostalgia, nella consapevolezza che il passato non passa e occorre conviverci.
Voto 8. (Lorenzo Morandotti)