GIACOMO TONI "Razzi di fuoco"
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Noto ma non troppo, stimato ma non abbastanza, Giacomo Toni è un busillis non trascurabile nel variegato sottobosco della canzone d’autore nostrana. Battitore libero, voce disallineata non riconducibile ad un genere, un filone, un ambito rigidamente definito, porta a spasso da tre lustri la sua irriverente unicità, dispensata agli astanti tra le bizzarre piroette di un repertorio sfaccettato e ondivago.
Fra i tratti più apprezzabili di quest’arte inafferrabile, sguardo lucido e disincantato che scruta e rielabora piccole miserie quotidiane, talora mascherando da celia ciò che burlesco non è, risalta l’ostinato beccheggiare tra serio e faceto, tra commedia e tragedia, tra sarcasmo e amarezza; quarto album di una carriera encomiabile per coerenza e creatività, “Razzi di fuoco”, dieci tracce per l'etichetta CISIM, mette in fila un sideshow brioso ed esuberante, capace di spaziare tra humour sardonico e sincera afflizione, in un’insistita alternanza che ammalia ed ubriaca.
Grottesco e surreale, viscerale, carnale, diretto, Toni canta sfacciato le storie minime di una bassa, comune, comicamente torbida umanità, un microcosmo brulicante di piccola follia che si autoespone al pubblico ludibrio, quasi sapesse ridere di sé; i suoi sono racconti scomposti, inframezzati di intermezzi nonsense che sviano dal filo conduttore, una narrazione stravagante e visionaria, spesso divertente, talora riflessiva, altrove stralunata. Macchiettistico nella scanzonata opener “Figacce”, agrodolce nel bestiario di “Mille pizze”, ma anche sorprendentemente intimo e profondo nella dimessa morna caposseliana de “La meccanica”, nell’esistenzialismo toccante di “Un’altra età”, nella sfuggente melanconia di “Laggiù”, disegna bozzetti vividi ed efficaci, nitidi e naif, in equilibrio curiosamente stabile tra volo pindarico ed iperrealismo.
Come da tradizione, l’album è un caotico serraglio di personaggi caricaturali, un circo Barnum a passo di blues storto e jazz addomesticato, che mette in fila chef allucinati ed improbabili avventurieri, meccanici pruriginosi e vacanzieri da strapazzo, sabotatori e temerari, ognuno col suo viaggio, ognuno diverso, ognuno in fondo perso dentro un formicaio disordinato e frenetico, in cui ironizzare e satireggiare al riparo della prossima gag.
Dal cilindro della sua ficcante teatralità, Giacomo Toni estrae un entusiasmante vaudeville, quaranta minuti poliedricamente eccentrici, memori sì dei numi tutelari Gaber (“Agosto”) e Jannacci (“Abbondantemente a lato”), ma intrisi di una personalità strabordante, il vero atout in grado di indicare una via del tutto autonoma al cantautorato di casa nostra. (Manuel Maverna)