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ARIANUOVA  "Volevo andare altrove"
   (2025 )

Gli Arianuova ci ricordano cos'è stata la scena musicale italiana negli anni '70: una culla per il rock progressivo, un periodo osannato anche all'estero, particolarmente in Giappone. La band savonese esordisce con l'album “Volevo andare altrove”, uscito per Lizard Records.

Daniele Olia, chitarrista e tastierista, è la mente dietro al concept album, e suona affiancato da Luca Bonomi alla batteria, Massimo Zanon alla voce e Michele Spinoni all'altra chitarra. Non lo trovo nei credits, ma sento anche un basso.

L'argomento principale è la classica fuga da un posto che non si riconosce come proprio. La concretizzazione della fuga si avvera grazie alla musica stessa. L'album è aperto da “Rota Fortunae – Instrumental”, che partendo da un ritmo shuffle rock che si avvicina quasi alla tarantella, poi si tramuta in una costruzione sinfonica, grazie alle tastiere di Olia.

Per iniziare la fuga, serve imboccare “La strada buona”, pezzo in 7/4, dove la voce, come uno stanco Jep Gambardella canta: “Non è più tempo di perdere tempo a fare cose che non voglio fare”. Il ritornello richiama il nome della band: “Dov'è l'aria nuova? C'è bisogna di aria nuova, buona”.

Con “Rainbow Bridge” fa capolino l'influenza dei Pink Floyd, con quei rumori di oggetti sullo sfondo di un pezzo in shuffle con pedale armonico. Il testo descrive una situazione ideale, utopica: “C'è sempre cibo anche sotto la neve, per chi è vivo la terra è lieve. Nessuno è preda, tutti amici, per tutto il giorno si corre felici”. Le armonizzazioni vocali ricordano a tratti quelle dei Pooh, che, ricordiamolo, sono anche il gruppo di “Parsifal” e di “Dove comincia il sole”!

“Downfall” è un altro episodio psych rock, ma il “testo” è un collage di voci che parlano e circondano la traccia. Devono essere estratti di film. Riconoscono un “brillanti” pronunciato da Silvio Berlusconi, il motto “Stay hungry, stay foolish” di Stefano Lavori (scusate...) e all'inizio la battuta: “Chi dice che il denaro è la radice di tutti i mali non ha un soldo”. Si capisce che la musica vuole contrastare gli slogan pronunciati.

“La quiete dopo la tempesta” è letteralmente la struttura della canzone così chiamata. La prima metà si agita elettricamente, la seconda mette in primo piano la chitarra acustica. L'agitazione torna con “La commedia è finita”, cantando di maschere levate.

E così si arriva al brano lungo del disco, il vero viaggione di 15 minuti: “L'orologio che andava indietro”. Racconta una carrellata di personaggi bucolici, tra cui dei vecchi che pensano che “la primavera non sia più tornata”, e guardano le nuvole. Ma nella prima parte, torna un rassegnato “È finita” a toglierci delle speranze. Come da tradizione psichedelica, al centro il ritmo si blocca per entrare in una fase ambientale, tra i suoni atmosferici dei synth e gli arpeggi ipnotici di chitarra.

La voglia di fuggire ci porta a un viaggio spazio-temporale, tra un “occhio rutilante”, un orologio in una piazza d'Italia dove le lancette scorrono al contrario e un assolo di chitarra. Nel finale anche la canzone si “accartoccia”, con un'accelerazione inseguita da ticchettii e suoni di orologi a pendolo, con un riff impazzito di chitarra e tastiera.

Chiude “Fortunae rota volvitur”, sinistra conclusione tra versi di corvi e una cupa armonia di suoni di corno, che col cambio di tonalità da minore a maggiore si trasforma in solenne e maestosa. I tastieristi (come me) riconosceranno i tic tipici, tra suoni d'archi, cori, organi e tutto quello che ci piace fare sempre! “Volevo andare altrove” è un disco che offre il rifugio confortevole per chi vuole fuggire dalla realtà, tra soluzioni formali adrenaliniche ed epiche. (Gilberto Ongaro)