recensioni dischi
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ANGELIQUE KIDJO  "Djin djin"
   (2007 )

Con "Djin Djin" Angelique Kidjo torna a casa. La cantante, nominata quattro volte ai Grammy, molto celebrata, autrice e performer, comincia la sua carriera nel porto del villaggio beninese di Cotonou, all’età di sei anni. I disordini politici del suo paese la portano a Parigi, la capitale della world music, e infine a New York City, dove ora risiede. La sua potente voce, la presenza di scena, e la sua profonda conoscenza di svariate culture e lingue, le hanno fatto guadagnare il rispetto dei suoi colleghi e consensi oltre ogni confine. Kidjo ha viaggiato lontano ed ha affascinato il pubblico di innumerevoli palchi, parlando per conto dei bambini come volenterosa ambasciatrice dell’UNICEF. Ora con 'DJIN DJIN', ritorno alle sue radici musicali, Kidjo ha veramente chiuso il cerchio della sua vita, portando artisti internazionali nel mondo musicale del suo paese d’origine. Da bambina, Kidjo ebbe un colpo di fulmine nel vedere la copertina dell’album di Jimi Hendrix, che la portò a seguire le radici africane della musica statunitense, brasiliana e caraibica. I risultati furono i tre album nominati ai Grammy, 'OREMI', 'BLACK IVORY SOUL' e 'OYAYA'. Con 'DJIN DJIN' (si pronuncia “gin gin”), Angelique Kidjo ritorna al soul del Benin, e, per la prima volta, lo condivide con un cast stellare di ospiti, in un matrimonio di culture che ha un significato ben più ampio della sola musica. Ispirato dalle tradizioni e dalla cultura del Benin (Africa dell’Ovest), il titolo dell’album si riferisce al suono della campana che saluta l’inizio di ogni nuovo giorno per l’Africa. La diversità rappresentata da Alicia Keys, Peter Gabriel, Josh Groban, Carlos Santana, Joss Stone, Branford Marsalis, il produttore Tony Visconti, e gli altri che hanno contribuito a DJIN DJIN, impartisce la lezione di questo progetto: per tutte le differenze nella musica del nostro tempo, il fiume dell’Africa scorre attraverso tutto. La chiave è stata costruire DJIN DJIN su basi beninesi. Il battito del cuore, quindi, viene dai percussionisti Crespin Kpitiki e Benoit Avihoue, entrambi membri della Gangbé Brass Band del Benin. I dettagli dell’eredità ritmica del loro paese, in alcuni casi specifica di alcuni villaggi, nutrono i ritmi che accompagnano l’album. A questo mix, Kidjo invita musicisti le cui basi fanno da complemento all’idea di DJIN DJIN: il batterista Poogie Bell, conosciuto per il suo lavoro con Erykah Badu e Chaka Khan; il mago della tastiera funk Amp Fiddler, i cui crediti includono Prince e George Clinton; Larry Campbell, il cui lavoro multistrumentale ha fatto da cornice alla musica di Bob Dylan, Emmylou Harris e Paul Simon; il bassista senegalese gigante Habib Faye, fisso al fianco di Youssou N’Dour; il chitarrista Lionel Loueke, della leggendaria band jazz di Herbie Hancock; Romero Lubambo, una meraviglia brasiliana i cui crediti includono Diana Krall e Dianne Reeves; Joao Mota, dalla Guinea-Bissau e il maestro di kora Mamadou Diabate. Ciascun musicista è un virtuoso ma, più importante, è aperto a cogliere occasioni creative. Kidjo canta parte del nuovo materiale su DJIN DJIN nelle lingue del Benin, della Nigeria e del Togo. Ha anche scritto e cantato ampiamente in francese e inglese, ma per questa missione i testi le sono arrivati dalla sua storia più profonda. La canzone che dà il titolo all’album, “Djin Djin”, è un invito a vivere ogni singolo momento il più pienamente possibile. Le sue canzoni raccolgono le gioie e i dolori della vita: la magia della nascita (“Salala”), l’unicità di ogni persona perfino in questo pianeta affollato (“Arouna”), le tentazioni della violenza (“Mama Golo Papa”), il calore e il potenziale didattico della musica (“Awan N’La”), le lezioni offerte come grida di gioventù (“Sedjedo”) e la profonda solitudine nella società moderna (“Emma”). Ma Kidjo non trattiene la sua rabbia, qui espressa verso le classi benestanti schiave dell’amore per il denaro (“Senamou (C’Est L’amour)”). Guarda anche avanti, al giorno in cui lasciare l’Africa per cercare fortuna lontano da casa non sarà più l’unica soluzione per una gioventù disperata (“AE AE”). Nella sua versione di “Pearls” di Sade, incita le donne che sono forti, ma oppresse e incapaci di fuggire il dolore dell’esistenza. In un’altra cover, una fantastica versione a cappella del Bolero di Ravel, intitolata “Lonlon”, illumina i ponti che si tendono dalla musica classica europea alle arie dell’Africa del Nord. E in “Gimme Shelter” Kidjo trasforma il classico degli Stones in un esuberante numero pan-nazionale che nondimeno si traduce in un monito. I contributi degli artisti ospiti illuminano il concetto di Kidjo. Trovando un posto per i loro singoli talenti all’interno del matrimonio tra influenze africane e occidentali, DJIN DJIN celebra la bellezza della diversità così come l’unicità delle culture. Questi giganti sono Peter Gabriel in “Salala”, Alicia Keys in “Djin Djin”, Joss Stone in “Gimme Shelter”, Josh Groban in “Pearls”, Ziggy Marley in “Sedjedo”, Carlos Santana pure in “Pearls”, Branford Marsalis in “Djin Djin” e Amadou and Mariam in “Senamou”. Il produttore Tony Visconti (David Bowie, Morrissey) aiuta a dare a ciascun brano di DJIN DJIN la pienezza del suono. Registrate all’Electric Lady Studio a New York, con i partecipanti raccolti in una sala, resa più intima da tappeti, cuscini, per un’atmosfera casalinga, queste performance testimoniano la capacità della musica di unire immediatamente e di liberare quelli che la fanno e quelli che l’ascoltano. “La musica ci unisce - dice Angelique - ma quando la musica finisce, torniamo alle nostre case, nei nostri quartieri, sapendo di poter fare la differenza. Dobbiamo essere orgogliosi di chi siamo. Sia che siamo nati in America o in Africa, possiamo celebrare la vita.”