recensioni dischi
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PAOLO BOTTI  "Viola trio"
   (2005 )

“Looking back...”, ovvero “guardando indietro”: anche le più spericolate proposte delle avanguardie contemporanee debbono prima o poi fare i conti con le radici della musica afroamericana, quindi con il blues del Delta ed il jazz di New Orleans... Fa piacere constatare che un giovane musicista come Paolo Botti se ne infischi dei luoghi comuni che lo vorrebbero fedele discepolo del jazz sperimentale, e rivendichi invece quella libertà espressiva che ha sempre contraddistinto le più felici stagioni della storia del jazz. Ma, per lui, riavvicinarsi alla tradizione non significa rinnegare il presente, tutt’altro. Vuol dire invece cercare nuove soluzioni per il jazz del futuro. Paolo Botti suona la viola, strumento assai poco diffuso nel mondo del jazz, ma nella sua suggestiva avventura musicale utilizza anche il banjo e la chitarra “dobro”. Dalle “certezze” musicali degli studi accademici – Botti s’è diplomato al Conservatorio di Milano – alla musica "astratta" fatta propria grazie a maestri come Franco D'Andrea (nel cui ensemble “Eleven” ha suonato), alle collaborazioni con Giorgio Occhipinti (“Hereo Ensemble”), Evan Parker, Bruno Tommaso, Steve Lacy o Giancarlo Schiaffini, il passo sembra lunghissimo. Ma certamente gli studi classici hanno dato a Paolo, classe 1969, la mentalità giusta per inoltrarsi nei terreni dell’avanguardia con il giusto piglio e con un controllo totale di un mondo sonoro in continuo movimento. Il jazzista milanese ha già inciso tre album come leader, tutti per la Caligola Records. I primi due, «Leggende Metropolitane» e «Moto contrario», hanno visto all’opera un quintetto completato da Alessandro Bosetti, sax soprano, Marina Ciccarelli, trombone, Tito Mangialajo Rantzer, contrabbasso, Filippo Monico, batteria; il terzo invece, questo «Viola Trio» (per lui forse il disco della raggiunta maturità stilistico–compositiva), é stato registrato in trio con Salvatore Majore e Anthony Moreno. L’essersi classificato nel referendum “Top Jazz 2001”, indetto dalla rivista Musica Jazz, fra i dieci migliori giovani talenti del jazz italiano, gli ha fornito senza dubbio ulteriori conferme e certezze sulla bontà della strada intrapresa. In questa nuova avventura musicale Paolo Botti ritrova la sua vecchia affiatata coppia ritmica, formata da due assoluti protagonisti del jazz di casa nostra, il veterano FILIPPO MONICO, alfiere del “free–jazz” sin dalla seconda metà degli anni ’70, accanto a Gaetano Liguori e Guido Mazzon, ed il quarantenne TITO MANGIALAJO RANTZER, fra i più ricercati contrabbassisti dell’area milanese, già membro dei gruppi di Giovanni Falzone, Tiziano Tononi e Gianni Cazzola. Ma un ruolo molto importante nel quartetto è svolto dall’originale sassofonista DIMITRI GRECHI ESPINOZA, nato a Mosca ma da molti anni ormai residente a Livorno. Grechi Espinoza ha studiato al Jazz Mobile di New York ed a Siena Jazz, con Pietro Tonolo e Paolo Fresu. Ha fatto parte dell'Orchestra Giovanile Italiana di Jazz diretta da Bruno Tommaso e fondato l'associazione culturale Axé, con cui svolge attività di ricerca nella musica terapeutica delle culture tradizionali, soprattutto quella africana. Oltre a dirigere da cinque anni il Dinamitri Jazz Foklore, quintetto con cui ha inciso tre album – due per Caligola Records, «Foklore in black» e «Congo Evidence», quest’ultimo con il rapper e poeta neroamericano Sadiq Bey – dirige un trio con Piero Leveratto e Filippo Monico (Cd di riferimento: «Artistic Alternative Music», ancora per Caligola) e fa parte sia dell'Orchestra Blast Unit che del quartetto di Paolo Botti. Oltre che a proprio nome, ha inciso con Stefano Battaglia, James Newton e Tiziana Ghiglioni.