recensioni dischi
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NEIL YOUNG & CRAZY HORSE  "Zuma"
   (1975 )

Neil Young esce dalla “trilogia maledetta” di metà anni '70 e dai suoi oscuri strascichi col migliore dei colpi di reni possibile: riprende a cavalcare il cavallo pazzo e sforna un disco di rock classico. La visionarietà che aveva reso unico e meravigliosamente variegato il precedente “On the Beach” non viene accantonata, bensì incanalata in forme più convenzionali. Il marchio di fabbrica di “Zuma” è sicuramente il ritrovato battage chitarristico made Crazy Horse. Affiancato dall’eccellente chitarrista ritmico Frank Sampedro, Young è libero di proseguire nella ricerca di quella dimensione elettrica globale forgiata in “Everybody Knows This Is Nowhere” e che verrà perfezionata nei primi anni '90. Il risultato è un vortice chitarristico basato sulle grandi cavalcate, gli accordi semplici e ripetuti più volte, e sull’interazione tra feedback e distorsione. “Cortez The Killer” è probabilmente l’apice in tal senso. Trascinante e forse un po’ retorica - ma proprio qui sta la forza del brano - rilettura dell’epopea dei conquistadores vista dall’ottica indigena, diventerà uno dei suoi cavalli di battaglia dal vivo per gli anni a seguire. Altrettanto efficaci ci sembrano l’oscura ”Danger Bird”, il cui ascolto fa capire perché Neil sia considerato il “padrino del grunge”, e le strepitose “Drive Back” e “Stupid Girl”, condite da squisiti assoli dal sapore quasi blues. Sono eccellenti anche quegli episodi in cui l’impeto chitarristico dell’uomo dell’Ontario viene mitigato da una irresistibile vena melodica, come in “Don’t Cry No Tears”, “Barstool Blues” o “Lookin’ For A Love”. Complessivamente “Zuma“ è un disco più solare rispetto al recente passato, benché non manchino liriche come al solito spiazzanti che ne sintetizzano mirabilmente il contenuto. In “Lookin’ For A Love” - ad esempio - Neil afferma: “Lookin’ for a love that’ s right for me / I don’t know how long it’s gonna be” per poi aggiungere “But I hope I treat her kind and don’t mess with her mind / when she starts to see the darker side of me”. Essendo un disco classico, non poteva infine mancare l’esercizio stilistico nel quale Neil Young è universalmente riconosciuto come il maestro: la ballata. “Pardon My Heart” si inserisce con prepotenza tra le migliori canzoni d’amore del nostro. Su una melodia cristallina, appena vivacizzata da un delicato assolo, egli sussurra: “Pardon my heart if I showed that I cared / But I love you more than moments we have or have not shared”. Chiude “Zuma” un mirabile schizzo westcoastiano, “Trough My Sails”, che viene addirittura ripescata da una session con gli amici-rivali Crosby, Stills and Nash. Puntellata da quelle inconfondibili armonie vocali, suggella come meglio non si potrebbe l’ennesimo capodòpera del nostro eroe. (Junio Murgia)