recensioni dischi
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DEPECHE MODE  "A broken flame"
   (1982 )

Martin Gore non ne voleva sapere di appendere la tastiera al chiodo: non era mica un Sandy Marton qualunque, e la voglia di continuare la strada ce l’aveva eccome. Sostituzione immediata di Vince Clarke con un altro patito dell’elettronica, tra i tanti nati a pane e Kraftwerk – di cui i DM copiarono pari pari molte attrezzature -, ovvero Alan Wilder, e la decisione di prendere in mano la situazione come autore. Anche per allontanarsi dalle atmosfere di easy disco che sarebbero poi diventate il marchio di fabbrica dell’ex Clarke nella carriera successiva, Gore incupì il sound e i testi. Ma il pubblico inglese non sembrò apprezzare all’istante, nella difficoltà di accedere a “My secret garden” o “Leave in silence” così come fatto con la “Just can’t get enough” di qualche mese prima. Se poi le poche cose ancora di facile ascolto – come il singolo “The meaning of love” – venivano accodate a videoclip che i Duran Duran non avrebbero fatto nemmeno sotto tortura, si capisce che la gente cominciò a storcere il naso, sconcertata da un gruppo di ragazzini che non si sapeva vestire, che non aveva immagine e che non voleva abbronzarsi. Facevano tutti così, cribbio, ma loro non ne volevano sapere. E davanti ad altri personaggi, che potevano vantare liriche oblique, spesso incomprensibili nel loro ermetismo, roba come “tutto quello che voglio è vederti, sai che è vero” sembrava uscito da un temino scolastico. Rien a faire: fate come Vince Clarke, dissero loro, che con gli Yazoo sta vincendo il derby. (Enrico Faggiano)