recensioni dischi
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ADRIANO CELENTANO  "I miei americani"
   (1984 )

Gli si perdonava (quasi) tutto. Perchè aveva vissuto degli anni 50 e 60 che non necessitano di presentazione. E negli anni 70, quando per tanti motivi lo stellone musicale si stava incrinando - uno in particolare? Non essere mai realmente riuscito a passare da 45 a 33 giri, per intenderci: tanti gioielli sparsi qua e là, ma difficilmente un album nel vero senso della parola - era riuscito a recuperarsi come attore da sbaragliare il botteghino ogni Natale. Tra innamoramenti pazzi, assi e bisbetici domati, insomma, era rimasto a galla in modo più che eccellente. Ma era quando c'era da incidere dischi, ahinoi, che non trovava più il bandolo: voglia di discomusic, di richiami ecologici ("Uh uh", cribbio, ce la vogliamo dimenticare?) e il suo solito modo di fare, "o così come pare a me o niente". Un giorno decise di darsi alle traduzioni. Ma, per una "Susanna" di successo radiofonico malgrado il testo obliquo e da psicanalisi, il resto era davvero difficile da gestire. Intanto, la moda di prendere pezzi anglosassoni e tradurli sembrava finita da ormai una quindicina d'anni. Poi, all'epoca si poteva prendere qualsiasi cosa e farla propria, ora si rischiava il ridicolo. Specie se le traduzioni erano banalotte, e se si conosceva bene - cosa che nei 60 poteva non essere data per scontata - l'originale. Però, per metterlo dietro alla lavagna, ancor prima di autoproclamarsi Re degli Ignoranti, bastava interrogarlo in geografia. "Michelle ma belle da tre anni vivi insieme a me", cantava il Molleggiato. I Beatles, insomma. In un disco chiamato "I miei americani". Da spingere Claudia Mori allo sciopero delle prestazioni sessuali, in stile "Chi non lavora non fa l'amore". Avrebbe fatto anche di peggio, ahinoi, nel seguito "I miei americani 2". (Enrico Faggiano)