recensioni dischi
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THE NOTWIST  "The devil, you + me"
   (2008 )

I Notwist nascono in terra bavarese quasi 20 anni fa: nel 1989 il loro suono era ancora alimentato da un’estetica sonora viscerale più associabile all’hardcore metal che alle produzioni musicalmente differenziate e ad ampio raggio che hanno reso il loro disco 'NEON GOLDEN' un enorme successo di critica e di pubblico nel 2002. I Notwist fanno una musica estremamente personale, una specie di alchimia non sollecitata in alcun modo dalle convenzioni né da particolari scadenze, come si può facilmente intuire dalla data di uscita del loro ultimo lavoro. I 6 anni trascorsi da 'Neon Golden' hanno portato ad un disco che può a pieno titolo essere definito quello più sentito fino ad oggi: 'THE DEVIL, YOU + ME'. Al primo ascolto sembra di riincontrare un vecchio amico. La singolare voce di Markus Acher circonda con tutto il conforto della familiarità, l’euforia del riconoscersi. E’ un disco guidato da un’irrequietezza individuale e collettiva, qualcosa che si manifesta sia nell’infinita inventiva musicale che nella narrativa lirica, e che é presente fin dall’opening track “Good Lies“ e per tutto il disco fino al fragile pezzo finale “Gone Gone Gone“. I testi esplorano una sorta di disagio, sono strutturati come incanti formulati per far fuggire l’ineluttabile ciclo della vita e della morte. Acher sembra voler resistere all’inevitabilità della mortalità, lottando con le certezze fisiche del mondo che lo circonda ("Gravity you won't get me. Old gravity you won't get me..."). Supportato dalla Andromeda Mega Express Orchestra, che giustamente porta il nome di una stella, “Where In This World“ é un altro momento mozzafiato, che mostra come si possano dipiegare archi e grandi arrangiamenti senza suonare come il classico “gruppo rock con grande budget“. Subito dopo, “Gloomy Planets“ colpisce con la semplicità della sua chitarra e pianoforte che si uniscono in un crescendo emozionale, senza mai diventare un’esasperazione. C’é un dialogo costante tra il passato hard rock dei Notwist e le loro tendenze più esplorative, ma sono le gradazioni che stanno in mezzo a questi due estremi che rendono la band così unica. Sembra quasi che questi ragazzi abbiano passato gli ultimi sei anni riformandosi come undici diverse band, ciascuno apportando a ciascuna canzone un angolo totalmente differente. Pochi gruppi potrebbero rendere sensato un pezzo come “Your Alphabet“, che combina noiose dissonanze da ventesimo secolo con percussioni spacca-orecchie fino a farla diventare – chissà come – una vera e propria canzone. “Boneless“ é un esempio di pura eloquenza rock, un’infusione di potenza di tre minuti che fonde ritmi e arrangiamenti nell’essenza stessa della canzone. In un punto del disco Acher si chiede "where in this world could I go but to the chord that takes me away...?", e all’improvviso si ha la speranza e quasi la certezza che questa non sarà l’ultima volta che sentiremo parlare dei Notwist.