recensioni dischi
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DEPECHE MODE  "Playing the angel"
   (2005 )

Insomma, ci eravamo spaventati. “Exciter” non era un disco brutto, diciamo, però dava l’idea di una band che si fosse ormai addormentata sugli allori, limitandosi ad accendere due o tre sintetizzatori, ricamandoci su un po’ di chitarra elettrica, e rallentando i propri ritmi quasi a voler evitare di uscire fuori strada. L’avevano fatto, d’altronde. E, quando nel 2003 erano usciti i dischi solisti di Gahan e Gore (quest’ultimo, peraltro, non era nemmeno all’esordio), l’idea che i Depeche Mode avessero appeso le tastiere e tutto il resto al chiodo era forte. Soprattutto pensando a come Dave Gahan stesse sguazzando nel proprio “Paper monsters”, godendo solo del fatto di averlo fatto. “Ora col piffero che torno nei DM, se quell’altro non mi fa scrivere una qualche canzone anche a me”, imponeva il ragazzone, come condizione per tornare nella band. La cosa poteva diventare un pastroccio, ma ne uscì invece qualcosa di assolutamente accettabile. Meglio di “Ultra” e, appunto, “Exciter”, questo “Playing the angel” riesce a cogliere un po’ tutte le sfumature dei Depeche Mode dei ‘90s, passando dall’elettronica pura di “Precious” a ritmi più selvaggi come in “John the revelator” o nell’apertura di “A pain that I’m used to”, o all calma di “Macrovision” e nella chiusura di “The darkest star”. Ci si trova tutto, quindi, riuscendo a non snaturarsi negli eccessi rock che tanto erano stati controversi, né ad eccedere nelle indulgenze di melassa. D’altra parte, riuscire a stare sulla breccia 25 anni dopo l’esordio non è facile per nessuno, figurarsi per chi vive di un genere che molti avevano dato per perso quando loro stavano solo iniziando a conquistare il mondo. Ma poi, di che genere stiamo parlando? Loro sono stati appaiati al synth-pop “che si suonava con un dito” dei primissimi eighties, all’industrial sound che vedeva negli Einsturzende Neubauten (compagni di scuderia, tra l’altro) i paladini. Poi al technopop, alla new wave, alla darkwave, per poi finire in una specie di grunge elettronico e ora, in un technorock che solo loro forse sanno fare. Sono passati dagli stadi sconcertando i puristi, che nemmeno consideravano l’idea che una band elettronica suonasse dal vivo, sono morti e rinati. “Playing the angel”, insomma, ce li racconta tutti, dalla a alla z. E il sospiro di sollievo, davvero, fu grande. (Enrico Faggiano)