recensioni dischi
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ALAN PARSONS PROJECT  "Eye in the sky"
   (1982 )

Cose che succedevano all’epoca. Lui era un ingegnere del suono britannico, che folgorato dai suoni dei Beatles riuscì prima a lavorare con loro, poi diventare parte collaborante dello stesso Paul McCartney e dei Pink Floyd, soprattutto. L’altro si guardava attorno, tra l’idea di fare l’avvocato e quella, ben più succulenta, di entrare nel mondo della musica, con canzoni scritte per altri che gli diedero un po’ di nomea. Alan Parsons da un lato, Eric Woolfson dall’altro: l’unione mise in piedi una produzione, anzi, un project, con l’idea di unire orchestrale e rock, sperimentazioni e dignitosa ricerca del commerciale. Ci andarono vicini nei primi anni, poi quando si avvicinarono all’occhio nel cielo, trovarono la quadratura del cerchio. “Eye in the sky” miscelava, come sempre, vari generi musicali, dal post-’70 di “You’re gonna get your fingers burned” al progressive-orchestrale di “Silence and I”, facendo un viaggio per le stelle tra “Children of the moon” and “Gemini”, chiudendo con il lento “Old and wise”. Ma il tutto, ovvero quello che pemise ad APP di diventare sigla da hit parade, passava attraverso tre tracce. Le due strumentali “Sirius” e “Mammagamma”, diventate poi in seguito sigle di decine, centinaia, migliaia di eventi sportivi – la stessa “Mammagamma”, totalmente suonata da computer, ricordava nemmeno poco le sonorità di “Another brick in the wall”, tanto che in Italia qualcuno si divertì a crearne un medley, a nome “Pink Project” -, e soprattutto la titletrack. Che era un inquietante affresco in stile Grande Fratello (Orwell, sia chiaro, non Taricone) su quello che poteva essere il futuro. Un album che cercava di fare da ponte tra le sonorità dei tardi anni ’70, soprattutto americane, e l’elettronica che spadroneggiava in Europa. Fece il botto, soprattutto dall’altra parte dell’oceano, e divenne un classico degli anni ’80. Il problema, oltre al fatto che il progetto era totalmente avulso dalle logiche commerciali dell’epoca (bella immagine, video et similia), sarebbe stato il considerare la sigla esclusivamente come un prodotto da spot pubblicitario, sfruttando le parti strumentali come sottofondo a deodoranti o automobili. Dietro, però, c’era tanto di più: all’epoca lo si era capito, i posteri stanno faticando. Peccato. (Enrico Faggiano)