recensioni dischi
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SQUALLOR  "Troia"
   (1973 )

Metti una sera a cena, come si suol dire. Alcuni tra i migliori parolieri che la musica italiana dell’epoca avesse sottomano. Metti magari la noia di dover sempre scrivere di cuorimatti, montagneverdi ed erbedicasamia. Metti la voglia di buttare tutto al vento, e fingere di essere tutt’altro. Questi erano il gruppettino Pace-Savio-Cerruti-Bigazzi, che in quei giorni dei primi anni ’70 entrarono in una sala d’incisione quasi come dei giocherelloni che, aperto per caso un microfono, provano a divertirsi, prima che a divertire. E ne escono, all’alba, con un 33 giri (ah, malinconia!) di frizzi e lazzi. Ancora lontano, sia chiaro, da quello che gli Squallor sarebbero diventati poi, tra coprolalia – parolacce, per intenderci -, brani pacchianamente gay, parodie napoletane e simile. Qui di tratta di un lavoro che, più che altro, cerca di prendere le misure a tutto il resto: un po’ di ironia, ma tanta roba che, per dire, poteva anche passare per radio, cosa che in seguito non sarebbe praticamente mai avvenuta. A parte la titletrack, infatti, il resto è di giochi strumentali (l’urlo di “Karate”, l’eponima “Il silenzio” tra le altre), la cover di “Mosquito” dei Doors post Jim Morrison che diventa “Non mi mordere il dito”, i lamenti amorosi di “Raccontala giusta Alfredo” e “Ti ho conosciuto in un clubs”, oltre alla quasi radiofonica “38 luglio”, che sarebbe diventato uno dei loro pezzi più famosi. Solo in “Marcia K2” si notano le tracce di quello che si sarebbe sentito in seguito, una radiocronaca con un po’ di prese in giro verso i potenti, o in “Morire in Porsche”, ad assaggiare le parodie dei cantanti sofisticati francesi. Erano grandi, ancora non lo sapevano. (Enrico Faggiano)