recensioni dischi
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MIKE OLDFIELD  "Islands"
   (1987 )

Uscito dall’orgia economica successiva a “Crises” e “Discovery”, "Campovecchio" era passato alla cassa anche con una raccolta – “The Complete” - utile Bignami per capire tutti gli aspetti della sua arte. E con due singoli, accolti però senza quelle urla di visibilio che avevano da colonna sonora ai precedenti successi. “Pictures in the dark”, cantata con la compagna Anita Hegerland e il giovin Aled Jones, e “Shine” (con Jon Anderson al microfono) non erano andate oltre il confine dei fans, e l’attesa per il nuovo album era tanta. Così come la delusione. “Islands” infatti, pur mantenendo la solita struttura dei lavori più fortunati, ovvero un lato strumentale e un lato vocale, pecca di superbia, andando a perdere quella che era, prima di tutto, la caratteristica principale di Mike Oldfield. Ovvero, quella di saper mettere l’ascoltatore su una sedia e di farlo sognare ad occhi aperti, e di certo di non annoiarlo mai, tra invenzioni sonore e l’eccellente voce di Maggie Reilly, in primis, a completare l’opera. Sostituita alla title-track da Bonnie Tyler, gli effetti non furono particolarmente esaltanti, anche perché il pezzo stesso non era ispiratissimo. Per intenderci, era roba che poteva essere nelle corde di Rod Stewart, quindi non esattamente figlia di “Foreign affair”. Il resto, poi, costruito con l’idea di farci sopra un lungometraggio animato, galleggiava più verso sonorità quasi rock che non verso il passato, e la gente se ne distaccò alquanto. Anche la lunga suite “The wind chimes” non sembrava all’altezza delle “Taurus” precedenti. Non erano campane tubolari, non erano ancora anni ’90, ma qualcosa di autoreferenziale. Ci sarebbero stati tempi migliori, per fortuna, in seguito. (Enrico Faggiano)