recensioni dischi
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PET SHOP BOYS  "Pandemonium"
   (2010 )

Curiosa, la parabola dei PSB, che dopo aver fatto passare vent'anni senza mai mettere a referto un album live, e ora vanno di "Pandemonium" quattro anni dopo il precedente "Concrete". Tentativo di andare alla cassa in momenti bui? Difficile, anche perché i due ragazzoni, sebbene ormai caduti nel dimenticatoio in Italia, godono tuttora di stima in tutta Europa, e i premi alla carriera o simile, oltre ai tanti attestati di amore da parte di big recenti, pullulano. In realtà, "Pandemonium" è il lato più festaiolo della produzione dei PSB, che in "Concrete" era rimasto da parte, lasciando spazio ad orchestrazioni ed altre suggestioni. Quindi, opera complementare con solo due doppioni (le inevitabili "West end girls" e "It's a sin"), e non un copia e incolla, per essere chiari. Si lascia spazio, come normale, agli estratti dal recente "Yes", ma si va soprattutto a cercar roba che fece muovere le masse negli anni scorsi, passando dai successi - quasi assenti nella "prima parte" - a robe come "Two divided by zero" o "Why don't we live together", che erano traccia iniziale e finale dell'album di esordio, "Please", datato 1986. Più che la versione audio, "Pandemonium" andrebbe gustato in DVD, pur riconoscendo - dai, ammettiamolo - che i video dei concerti sono ecumenicamente una noia mostruosa, si tratti di Jimi Hendrix o di Alessandro Canino. Se non altro si capirebbe, per chi ancora nutrisse dubbi, che il duo Tennant-Lowe non è fatto di carta (poi, se lo fossero, non sarebbero in giro da un quarto di secolo) e spesso dal vivo mostrano anche lati quasi sconosciuti a chi li ha apprezzati solo in versione disco (o cd, o cassetta, o quel che vi pare). La celebrazione di un sodalizio che forse non ha riscosso tutto il successo che avrebbe meritato, e che dalla metà dei '90s in poi è stata quasi ghettizzato come un semplice gay-set, ma attraverso la loro musica si è forgiata tutta una generazione che, ora, rende merito ai paladini del tecnopop fatto con il cuore. Inchino. (Enrico Faggiano)