recensioni dischi
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DURAN DURAN  "Rio"
   (1982 )

La storia della musica anni '80, almeno per quanto riguarda il pop, è tutta racchiusa qui dentro: si potrà essere schizzinosi, rifiutare di definirlo "capolavoro" per un certo snobismo culturale, ma con "Rio" i Duran capirono e carpirono il succo del decennio nel modo più totale e completo, smazzolando un album che, ancora oggi, potrebbe essere messo nelle scuole come testo fondamentale per studiare cosa siano stati, gli eighties.

La loro era una formula perfetta, fatta di video costosi ed esotici che li metteva in bella mostra in luoghi da cartolina (dallo Sri Lanka ai Caraibi), massima attenzione al look e tante fotografie con cui inondare i diari delle teenager: una boyband, come si sarebbe detto una decina di anni dopo, ma che riusciva, una volta spostata l'attenzione sul prodotto musicale vero e proprio, a restare a galla con grande dignità.

Ogni brano di "Rio" sarebbe potuto diventare un singolo di successo, qualcuno lo diventò pure, e dalla titletrack ad "Hungry like the wolf", ma anche le "New religion" e "Lonely in your nightmare", oltre che quella "The chaffeur" dal video quasi lesbo, avrebbero fatto il giro del mondo.

I DD avevano capito tutto, e con queste carte in mano era difficile accusarli di essere solo capelli colorati, bei vestiti e scenografie da sogno, tra donne affascinanti e location costose: c'era anche la musica, insomma.

In Italia qualcosa iniziò a muoversi, ma nulla che potesse far pensare al clamore della metà anni '80. Ah, il disco contiene anche "Save a prayer": per chi non si fosse convinto del termine "capolavoro", questo è il jolly da giocare per stendere qualsiasi avversario. Perché possiamo dire di no, possiamo fingere che non sia vero, ma tutti quelli che sono stati adolescenti a quei tempi questa canzone l'hanno dovuta amare per forza, e una telefonata ad una radio per quei programmi di dediche e richieste, sperando che la ragazzina amata fosse in ascolto e sentisse "per te, dal tuo amico, ecco Save a Prayer", l'abbiamo fatta tutti. (Enrico Faggiano)