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THE ROLLING STONES  "Exile on main street (deluxe edition) "
   (2010 )

Ancora prima di avvicinarsi all’album, non si può partire senza dei “preconcetti” nei confronti di questa band: una carriera così, dei membri così particolari, insomma, i Rolling Stones sono e saranno sempre solo i Rolling Stones! L’album, ovviamente già ben noto a chi mastica rock da più di qualche anno, è una riedizione, rimasterizzata (probabilmente togliendo anche il fascino e la fedeltà che accompagnano un album in vinile) e allargata inserendo anche le tracce che vennero scartate nel lontano 1972. Le peculiarità dell’album sono chiaramente le tipiche che hanno portato la band al successo, cioè un forte impatto strumentistico capace di far scorrere note, dal blues al boogie, dal rock ‘n roll fino al country, e, ovviamente, anche gli arrangiamenti azzeccatissimi, che fanno di un ottimo album una pietra miliare. Esempi possono essere i fiati in “Rip This Joint” e “Happy” o la malinconica armonica in “Sweet Virginia”, o ancora il pianoforte in “Loving Cup”. Essere fra la migliori rock-band del pianeta non succede per caso, e questo album lo dimostra, mostrando sonorità prettamente blues associate a una vena cantautorale non da poco, e il tutto senza perdere una sorta di filo conduttore e un collegamento fra i brani, dai più scanzonati ai più danzanti. Ascolto assolutamente obbligatorio per le tracce “Tumbling Dice”, “Rocks Off” e “Shine a Light”. Per quanto riguarda la seconda parte poco c’è da dire, se non che sono compresi degli “Alternative Takes” di alcune tracce, originariamente scartati per l’album, ed alcuni brani inediti sicuramente orecchiabili. Questa seconda parte in effetti non si inserisce facilmente all’interno del contesto del disco e, come per molte altre scelte editoriali recenti, sembra più un capriccio e una sorta di mix, creato per il solo gusto di farlo, senza scopi ben precisi se non quello meramente economico. Un discorso particolare andrebbe fatto anche per la “Rimasterizzazione”. Ultimamente molti album importanti del passato sono usciti in questo tipo di versione, in cui sicuramente si ricerca una particolare chiarezza di suono e una limpidezza che però, in effetti, non sono coerenti con i lavori. Purtroppo, o per fortuna (a seconda dei punti di vista), alcuni lavori che oggi sono stimati come irripetibili o come unici hanno nel loro bagaglio e nelle loro caratteristiche le peculiarità proprie del vinile, come ad esempio un lieve fruscio di sottofondo. Ebbene, soddisfatti o no, il risultato è quello, e moltissimi album, come il suddetto, o anche “Back in Black” degli Ac/Dc, sono un tuttuno con questi particolari e privati di questi aspetti (probabilmente anche perché abituati a sentirli così) non sembrano loro, sembrano altre cose, in meglio o in peggio, ma non sono l’album a cui siamo affezionati. Il supporto è piuttosto scomodo, la navigazione fra la tracce è difficoltosa, i disturbi sonori non mancano, tutto vero, ma la fedeltà e l’assoluto realismo di cui è capace il vinile non ha eguali. Per questo e per altri moltissimi motivi consiglio di certo l’ascolto di questo album degli Stones, ma in vinile, sul supporto originale, per il quale è stato pensato, con i suoi fruscii, le sue irregolarità ma la sua grandissima capacità di farci sentire gli Stones davanti a noi se solo proviamo a chiudere gli occhi. (Stefano Mavero)