recensioni dischi
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DURAN DURAN  "All you need is now"
   (2011 )

Simon Le Bon potrebbe tranquillamente accendere MTV, dove ormai già da un po’ lui non è che abbia cittadinanza, e mettersi a ridere di tutti i vari pop idols di questi ultimi anni. E, per farli sedere tutti, gli basterebbe dire che, alla luce dei fatti, uno “Sposerò Bill Kaulitz” nessuno lo ha scritto, per fortuna. Lui e John Taylor, ora, forse di possibili candidate al matrimonio non ne troveranno tante, e una possibile traccia per aspiranti neo Clizie Gurrado sarebbe “Diventerò consuocera di Simon Le Bon”. Perché gli anni sono passati, le mode anche, e dopo il revival di “Astronaut” è bastato un “Red carpet massacre” uscito male per far perdere di vista la precedente rimpatriata. E allora, per rimettere davvero indietro le lancette, ci si è affidati alla produzione di Mark Ronson, dimenticando i tentativi farlocchi di dare una nouvelle vague ai DD: messi i quattro in una stanza, Ronson li avrà costretti a reindossare giubbotti con le spalline e a riascoltare soltanto i due album che, trent’anni fa, diedero l’immortalità alla sigla. “Fate come avete fatto qui, senza se e senza ma” l’imposizione, e alla fine il risultato è clamoroso, se vogliamo. Certo, nulla che non si sia sentito in precedenza, perché ogni traccia di “All you need is now” richiama una sua antenata degli ‘80s (dalla titletrack che nel ritornello fa tanto “Hungry like the wolf” in poi) e non è detto che la cosa sia un male. I riff cavalcanti e ripetitivi di “Blame the machines”, “Being followed” e “Runway runaway” tornano indietro alle sonorità new wave del loro primo disco, mentre “Leave a light on” sembra una prosecuzione letteraria di quella “Save a prayer” che chissà quanti neotrentenni ha aiutato a concepire. Ci sono le sonorità anni ’70 di “Safe”, assieme ad Ana Matronic degli Scissor Sister, e un altro giro di basso direttamente figlio di “Rio” in “Girl panic”. Un lavoro che andrebbe ascoltato rigorosamente su cassetta dentro un walkman, insomma, uscendo a far jogging alla ricerca di squinzie urlando al mondo intero che i Duran Duran sono tornati. Rifacendo quello che sapevano fare meglio e senza alcuna voglia di fingersi ''ggiovani'': se Bill Kaulitz tra trent’anni sarà capace di questo, allora se ne potrà riparlare. Lo scrivente non ha fretta: troppo giusto, troppo scarso, “Wild boys wild boys”. (Enrico Faggiano)