recensioni dischi
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JOE COCKER  "Something to say"
   (1972 )

Dopo un periodo di silenzio durato circa due anni, Joe Cocker nel 1972 torna on the road, con una tournèe italiana di sole tre date distribuite fra Roma, Genova e Rimini. Il bluesman di Sheffield arriva direttamente dagli Usa, dove a New York ha fatto il tutto esaurito al Madison Square Garden (60 mila persone), a Detroit (30 mila) e a Los Angeles (19 mila). La dimostrazione, questa, che quando è in circolazione, rimesso a nuovo dagli stravizi dell’alcol e della droga, Joe Cocker attira la gente come pochi, perché – come dice Leon Russell – ogni volta che canta dal vivo rischia l’infarto dando il doppio di quanto potrebbe dare al limite delle sue reali possibilità. E non è esagerazione perché chiunque lo abbia visto all’opera (sia sul palco che dalla tv) può rendersi conto di quanto impegno metta nelle sue performance. Non è un caso che ad ogni concerto perda un chilo e mezzo di peso. Alla fine del famoso tour del 1970, era ridotto quasi in fin di vita (e non è un’esagerazione: ricordiamoci che Cocker ha sempre dovuto combattere con la poliomelite, malattia che lo aggredì da neonato). Al Palasport di Roma Joe Cocker viene affiancato dal gruppo di Chris Stainton, il pianista che debuttò con lui nella formazione Grease Band, con la quale Cocker lavorò fino al 1968, quando ancora non era famoso. Con questo gruppo Cocker non ha ancora registrato nulla di nuovo se si escludono un paio di concerti americani. Il pubblico romano ha chiesto tre bis ma c’è stato qualcosa che non deve aver funzionato. Due ore di musica senza interruzione, non si è risparmiato. Ma gli applausi sono stati tiepidi, di quelli che si fanno ad un cantante o ad un gruppo più che altro per forma. Il motivo è presto detto: il pubblico si aspettava i grossi successi del cantante e invece Joe ha presentato per la maggior parte – il 90% - cose inedite su disco, delle novità alle quali il pubblico italiano non aveva ancora fatto l’orecchio. Materiale che proporrà in seguito nel suo album SOMETHING TO SAY, conosciuto anche come JOE COCKER perché il titolo non appare da nessuna parte sulla copertina originale. Un disco che contiene per la maggior parte brani scritti tutti da lui e da Stainton. Del disco, che clamorosamente in Usa non raggiunge neanche la 30° posizione nonostante il successo ottenuto dal vivo, si conoscono le bellissime HIGH TIME WE WENT, WOMAN TO WOMAN, PARDON ME SIR e la già citata MIDNIGHT RIDER che in origine era stata incisa dagli Allman Brothers Band. Un’altra cover è ST.JAMES INFIRMARY, un pezzo inciso nel 1929 da Louis Armstrong & His Savoy Ballroom Five. PARDON ME SIR uscirà nel 1973 anche come singolo. In ottobre, il tour si sposterà in Australia, quando Cocker fu trovato in possesso di tanta di quella marijuana che se avesse voluto avrebbe potuto creare, nella terra dei canguri, un business a “latere”. Il governo australiano però non prese bene la cosa tanto che gli diede il foglio di via intimandogli di non terminare neanche il tour. Cocker è uno dei rari cantanti, non affetti da egocentrismo incontrollato, che riescono ad amalgamarsi col gruppo che li accompagna del quale diventano un’estensione vocale. Quando canta punteggia, contraendo nervosamente le mani e le dita, le note delle chitarre e del piano. Smorfie e tic del viso, concentrato in una specie di trance, lo rendono ancora più bruttino di quanto sia in realtà. Ma è giusto così, è un personaggio vero, non una prettyface dello show business (scusate gli anglicismi, che odio, ma purtroppo certi termini non hanno corrispondenza in italiano). Quando un artista diventa tutt’uno con la massa di musica che produce e lo sommerge, quasi rendendosi egli stesso una nota musicale saltellante e frenetica, non può certo curarsi della componente estetica. E ad uno come Joe Cocker, nun je ne po’ fregà de meno, come dicono a... Trieste. Il suo singolo, che grazie alla pubblicità derivante dal tour italiano e dal martellamento di Alto Gradimento, diventa un hit istantaneo, si chiama MIDNIGHT RIDER. Un pelo sotto rispetto alla produzione precedente ma di ottima fattura tanto è vero che Zucchero, nel corso degli anni, l’ha “reinventata” almeno dieci volte (come d’altronde tutta la produzione di Joe Cocker). (Christian Calabrese)