recensioni dischi
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ARTIE KAPLAN  "Confessions of a male chauvinist pig"
   (1973 )

Un nuovo personaggio nelle classifiche italiane. Il suo nome è Artie Kaplan ed è un quarantenne jazzista di New York. È stato per anni assistente conduttore di orchestre, poi organizzatore delle stesse, poi sessionman o anche semplice turnista. Una vita dedicata alla musica. Poi un giorno decide di investire dei soldi e lo fa convocando un'orchestra lui stesso ma non per altri artisti bensì per uso proprio. Ma Artie non aveva nessuna casa discografica alle spalle ed allora tira fuori ottomila dollari e autoproduce il suo disco, insieme ad un amico legato anch'egli all'ambiente musicale newyorchese. Il pubblico italiano lo ha fatto arrivare in cima alle hit parade in un momento ottimo per cantanti e gruppi semi-sconosciuti in Italia. Basta guardare le classifiche dei quei tempi: Lobo, Don Mc Lean, Dr. Hook & The Medicine Show o anche l'ex produttore dei Pink Floyd, Hurricane Smith. Nella maggior parte dei casi si tratta di personaggi che avranno da noi una sola occasione e alla seconda falliranno l'appuntamento con le classifiche. Molto particolare questo Artie Kaplan. Una specie di Moustaki americano. La sua barba brizzolata lo fa sembrare più vecchio dell'età che ha. Una voce strana, ruvida, raschiosa. Un intellettuale folk singer? Non direi. Forse non sempre bisogna trovare dei termini per definire un genere. HARMONY ad esempio è un brano differente dall'intero LP, che si intitola CONFESSIONS OF A MALE CHAUVINIST PIG, coraggioso diario di un convinto anti-femminista e dedicato al padre scomparso da poco. Difatti sulle note di retro copertina si può leggere "questo album è dedicato a Charles Parker nato nel 1902 e morto nel 1971, per il quale non ho mai cantato". Le canzoni giocano molto sull'eleganza degli arrangiamenti jazzistici e sulla voce fuori luogo in una cornice così ben definita. C'è un po' di Blood Sweat & Tears e un po' di Chicago e delle volte anche qualcosa dei crooners americani. Per questo disco Artie Kaplan si circonda di jazzisti che conosce da anni. Il sax è l'elemento principale. La suite che dà il titolo all'album è suddivisa in quattro parti e la conclusiva ha un titolo che dà l'esatta idea del suo viscerale anti-femminismo: WHERE HAVE ALL THE BITCHES GONE. Titolo intraducibile e politically incorrect, specie all'epoca, in piena era femminista. Parodia al vetriolo di WHERE HAVE ALL THE FLOWERS GONE di Pete Seeger. I testi sono tutti molto simpatici e la musica ha naturalmente spunti jazzistici. Tutti i brani dell'album sono stati scritti da lui in collaborazione con altri musicisti. Una delle canzoni più efficaci dell'intero disco si chiama MUSIC IS SWEET MUSIC IN MY SOUL in cui lui si diverte con un assolo di sax da virtuoso. HARMONY si distacca dall'intero album e non a caso viene messa in circolazione come singolo. È un pezzo nato per essere un hit, era scritto nel DNA stesso del brano tanto che avrà successo anche in un'altra versione, quella di Ben Thomas, non nuovo a coverizzare istantaneamente successi internazionali. Ben Thomas è un cantante danese che però vive e lavora in Germania. HARMONY comincia a fare successo dopo il bombardamento a tappeto fatto da Arbore e Boncompagni in Alto Gradimento: loro credevano molto in questo brano. La successiva canzone di Kaplan, che presenterà alla Mostra Internazionale di Musica Leggera di Venezia a settembre, si intitola STEPIN' STONE ma fallirà l'obiettivo "hit parade". (Christian Calabrese)