recensioni dischi
   torna all'elenco


PET SHOP BOYS  "Elysium"
   (2012 )

Arrivati ad un punto come questo, ai PSB la domanda potrebbe sorgere spontanea: cercar di far musica per provare ad attirare le nuove leve, o limitarsi semplicemente a bussar alle porte amiche degli ultraventennali fans e garantirsi la loro approvazione? Ben consci che per entrare nelle grazie della Mtv Generations servirebbero miracoli difficili da concretizzare, Tennant-Lowe decidono, come sempre fatto in questi anni, di restare sul proprio terreno senza alzate di ingegno o altro. Ripetitività, quindi, o coerenza? Forse la seconda, dato che alla fine chi ha seguito la storia del duo fin dai primi tempi potrà avvicinarsi a questo disco sapendo che non ne uscirà per niente deluso. E riuscire a piacere pur mantenendosi sullo stesso sound del 1987, per intendersi, non è facile come si potrebbe pensare. Ci si riesce, però, perché alla fine il senso della melodia e della capacità di trovare ritornelli e ganci musicali non è cambiata, dai tempi di “It’s a sin” ad oggi. “Elysium” non è esente da difetti, comunque, come quello di eccedere un po’ troppo nelle ballate e lasciando il ritmo un po’ in disparte. Cosa che rischia di far perdere l’attenzione, soprattutto ricordando come le cose migliori del duo, tutto sommato, sono sempre state quelle musichette tali da far alzare il volume e a muover spalle (spalline in stile ‘80s?) come ai vecchi tempi. Poi chiaro, se uno dei rari episodi uptempo è “A face like that”, che sembra sfornata direttamente da “Actually”, qualche rimpianto c’è eccome. Aggiungendo a questo il fatto che un altro piccolo gioiellino che non avrebbe sfigurato ad un Top Of The Pops del 1988, “A certain je ne sais quoi”, è stato nascosto nelle b-sides del singolo “Winner”. Certo, c’è sempre un po’ di tutto, dall’iniziale “Leaving” al quasi musical di “Hold on” fino alla finale “Requiem in denim and leopardskin”, e il bello del disco è che alla fine viene voglia di riascoltarlo, non come in tanti altri casi di revival dove le nuove produzioni lasciano l’amaro in bocca del ripensare ai vecchi tempi. Qui non capita, ed è già un ottimo risultato: non c’è gran roba da far gridare al capolavoro fin dal primo ascolto, ma piano piano il disco cresce, ed è garantito che chi si avvicinerà al lavoro ricordando quella che era l’epoca d’oro del duo non storcerà il naso. E gli altri, non sanno cosa si perdono. (Enrico Faggiano)