recensioni dischi
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UROSS  "L'amore è un precario"
   (2013 )

Nell'immaginario collettivo, Monopoli è soprattutto l'unico ed inimitabile gioco di società (excuse me, ora è stato ribattezzato "Monopoly"...), che da quasi 80 anni ci tiene compagnia, impedendo felicemente la crescita e quindi la maturità di chi gioca (io sono tra questi, e me ne vanto pure). Ma, ovviamente, Monopoli è anche la città in provincia di Bari, celebre come "la città delle cento contrade" e forse, tra un po', come luogo di nascita del cantautore Uross. Che, questo va detto subito, in effetti presenta una proposta che non ha molto a che fare con il più tipico "cantautorato". C'è molto più rock, c'è molto più western - blues, c'è soprattutto una chitarra slide che, più che De Gregori o Guccini, ricorda Ry Cooder o Mick Taylor (e che nessuno dimentichi che le più belle chitarre della storia degli Stones le ha partorite lui...). Uross, alla fin fine, è un cantautore che ricorda così poco la classica "musica cantautorale" che, quasi quasi, viene da chiedersi se si tratti di un solista o di una band. E, credetemi, questo è già un complimento non da poco. Al punto che, se Uross deve inserire tra i suoi brani una cover, sceglie sì un brano appartenente ad uno dei più grandi cantautori italiani, l'indimenticato Rino Gaetano, vale a dire "Ma il cielo è sempre più blu", ma lo stravolge completamente, rileggendolo con chitarre e ukulele, un po' alla Eddie Vedder in "Ukulele songs". Risultato: ottimo. Sconvolgente, e al tempo stesso rispettoso. Negli altri 10 brani originali, c'è tutto Uross: vale a dire un rock-blues ottimo, sia in fase di scrittura che di esecuzione, più un impianto testuale all'altezza. "Ci sono posti che non ho visto, cose che non ho mai fatto, se mi spetta un'altra vita proverò a farle...", canta stentato ma convincente in "Flusso d'incoscienza". "Ho visto facce di cui non sapevo niente, ma non mi servirà un nome per portarle con me...", intona invece in "Chiedi alla polvere". A volte basta poco, per fare poesia, vera poesia. Si tratterebbe del secondo album del ragazzo di Monopoli, dopo l'esordio di due anni e mezzo fa con "29 febbraio (lo squilibrista)", ma in realtà la sua strada musicale è ben più densa e variegata, contando addirittura la bellezza di 9 demo tra quelli personali (6) e quelli dati alla luce insieme agli Anartisti (altri 3). Una strada, quindi, lunga e perigliosa, cominciata ben 13 anni or sono per giungere a "L'amore è un precario": il senso della precarietà, purtroppo così comune nei nostri tempi affannosi, che si estende pure all'amore, un po' come recitava Samuele Bersani nel 2006 nella sua splendida "Sicuro precariato". Probabilmente non troverete, in quest'album di Uross, il brano che vi farà saltare sulla sedia, nè forse novità (musicali o assolute) che cambieranno la vostra vita. Però, al termine dell'esecuzione, vi scoprirete a spingere nuovamente, quasi in automatico, il tasto play. Perché, da queste musiche, ci si fa cullare e accarezzare amabilmente, come da una bella donna. Appagante, quindi, e pure molto soddisfacente. Di quanti altri dischi potreste dire altrettanto? (Andrea Rossi)