recensioni dischi
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SIMPLE MINDS  "Black & white 050505"
   (2005 )

Poi ci sono questi dischi qua, che fanno capire in tutto e per tutto cosa possa significare il concetto de “il ragazzo è bravo ma non sempre si impegna”. Perché tutta la vita dei Simple Minds, dal giorno in cui ebbero il nuovo sogno dorato, è rimasta costellata di occasioni mancate, dischi in cui avevi inizialmente l’impressione di un capolavoro, di quelli da spegnere il telefono e non farsi disturbare durante l’ascolto. E poi, però, un alzarsi da tavola con l’idea di aver avuto un antipasto di qualità, un primo di gran classe, ma un successivo frettoloso elenco di portate imprecise e non sempre coordinate. Di certo, rispetto ad uscite precedenti, questo galleggia anche meglio, dato che anche quando uscì molti di quelli che si stracciano le vesti ad ogni pallida riproposta della sigla si fermarono un attimo a pensare che, tutto sommato, segnali di vita ce ne erano. Chiaro, in un ambito e in un genere che non era proprio quello da cui si era partiti, ma bastava riascoltare la chitarra di Charlie Burchill nei primi due brani del disco, “Stay visible” e “Home” per pensare che il miracolo si fosse compiuto, e che Jim Kerr avesse preso la dimensione di Lazzaro per alzarsi e tornare a camminare. Ma, come detto, se ci fosse stato il servizio completo non sarebbero stati loro, e dopo cotanta prova di energia e ispirazione le successive tracce iniziano un po’, appunto, a traccheggiare. Come la squadra che fa gol al primo minuto e poi melineggia, magari incurante del fatto che alla fine gli altri pareggiano, e forse con l’1-1 non si passa il turno. Una dichiarazione di affetto alla amata Sicilia (“Different world (Taormina.me)”), la lunga suite finale di “Dolphins” e un ritorno negli spogliatoi come in tanti altri casi, “pienamente d’accordo a metà col mister”. Però, quelle due canzoni iniziali, valgono il prezzo del biglietto e uno spolverare il ricordo di quello che fu. (Enrico Faggiano)