recensioni dischi
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TARMAC  "Notre époque"
   (2003 )

Stremati dal successo planetario dal quale furono investiti nel corso di un lungo e fortunatissimo quinquennio, i Louise Attaque scelsero di rifiatare concedendosi una pausa rigenerante e defatigante lontani dalla notorietà e dai clamori delle scene. Seguendo un percorso che segnerà tutto il prosieguo della loro carriera, i quattro optarono per diversificare le rispettive ambizioni, dando voce a due side-project di differente tenore, ma accomunati dal desiderio di dare libero sfogo a passioni musicali più o meno sopite durante l’esperienza dei Louise Attaque. La sezione ritmica (il bassista Robin Feix ed il batterista Alex Margraff) diede vita al progetto Ali Dragon, orientato ad una bizzarra commistione di elettronica ed elementi etnici che non ottenne grande riscontro benchè possedesse un’interessante eleganza ed una discreta scrittura; le due principali menti pensanti (il cantante e chitarrista Gaetan Roussel ed il violinista/polistrumentista Arnaud Samuel) rilasciarono invece un album di debutto (“L’atelier”) sotto il moniker Tarmac mantenendosi nel solco della tradizione francese ed optando per una registrazione casalinga ed intimista interamente affidata ai soli membri del duo. Il disco ottenne un discreto successo, più che altro dovuto al blasone della coppia ed alla nostalgia che già attanagliava gli innumerevoli fan dei Louise portandoli a consumare golosamente qualsiasi surrogato di quell’irripetibile act; ma si trattava anche di un disco decisamente valido, ben scritto, sincero e genuino, scarno ed ingenuo forse, ma vibrante e partecipato. Due anni più tardi gli Ali Dragon si erano già dissolti, mentre i Tarmac continuavano vivi e vegeti, bissando il debutto acerbo con questo “Notre époque”, frutto di un lavoro di gruppo e di un sound reso più coeso e consistente dall’impiego di una vera band. La scrittura si fa più complessa e curata, gli arrangiamenti ed i suoni scolpiscono le canzoni plasmandole in fogge inusuali, imprimendo al lavoro un’atmosfera sontuosamente levigata ed un suadente mood notturno, che conferisce alle quattordici tracce una raffinata eleganza ed una grazia discreta e garbata. Il disco perde completamente qualsiasi accenno rock (prevalente in “Comme on a dit”) o folk (l’album di esordio dei Louise), e rinuncia perfino a citare la chansonne tradizionale prediligendo un taglio sensualmente lounge che ingloba un’ elettronica soffusa (“Post-scriptum”, che mette in musica una poesia di Pessoa) e ritmi che riportano ai Gotan Project (deliziosi i tango truccati di “La lune” e di “Sur mes levres”); il sound è misurato, ovattato anche nelle parti di batteria, i contrappunti si susseguono incessanti arricchendo brani già concepiti per produrre un effetto avvolgente, come accade ad esempio nel reggae mascherato della title-track o nel languido romanticismo di “Ces moments-là”, tutti episodi nei quali il chitarrismo è ridotto al minimo per privilegiare una resa “atmosferica”. C’è spazio allora anche per il trip-hop (gli strumentali “Du velours” e “Tout a coté”), per le onnipresenti suggestioni etniche (l’esitazione insistita di “Chaque ville” col suo violino gitano), per altre tentazioni argentine (mirabile e toccante il tango in spagnolo di “Volar”, con violino e fisarmonica) e perfino per lo sketch da cabaret espressionista di “Dans ma tete”, resa sinistramente raggelante dallo staccato di chitarra che la sorregge. Non c’è mai rock nè furia, sebbene “Notre époque” dispensi passione a piene mani; ma è passione quasi fredda, calcolata, senza slancio, forse il solo limite - se di limite si può trattare – di un disco che rasenta la perfezione: quella stessa perfezione raggiunta e sublimata in un episodio (“Je cherche”) costruito e cesellato come una pietra preziosa, autentica gemma tra le gemme, brano che definisce, plasma di sè ed impreziosisce un lavoro ingiustamente considerato minore nel quadro della variegata produzione del consorzio Louise Attaque & co. (Manuel Maverna)