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GODSPEED YOU! BLACK EMPEROR  "Yanqui U.X.O."
   (2001 )

I Godspeed You! Black Emperor sono un collettivo aperto di origini canadesi la cui proposta artistica è rivolta alla esplorazione in chiave cervellotica del nebuloso territorio che abbraccia, fonde, manipola e declina post-rock, psichedelia evoluta ed ambient-noise etereo. Operazione di matrice scopertamente intellettuale, il progetto Godspeed You! Black Emperor si dipana in questo album – di fatto l’ultimo prima dello scioglimento e della rinascita sotto mentite spoglie - tra lunghe composizioni stratificate ed esclusivamente strumentali, nelle quali fanno capolino elementi mutuati dall’avanguardia (progressioni atonali) e dalla musica da camera, in ciò distaccandosi sia dalle tradizionali asperità del rock colto e destrutturato (Slint) sia dalle forzature ritmiche e dall’iperastrattismo del math-rock (Don Caballero, June of ‘44). Il limite principale ascrivibile a questa musica, la cui primaria ambizione pare essere il raggiungimento della saturazione e l’ottenimento di una dimensione statica, è forse da rintracciare proprio nella sua mancanza di orizzonti: attraverso partiture subdolamente infide che lievitano prive di deflagrazioni emotive, il gruppo lavora unicamente sull’intensità del suono senza mai giungere a sviluppare i brani, contrappuntati in modo spesso consonante (ma piatto) e mollemente lasciati andare alla deriva. In sostanza, si tratta di una musica non priva di una insolita gradevolezza, un blocco monolitico di sonorità dilatate che volutamente non approda a nulla, sacrificando lo sviluppo melodico pur senza uccidere la melodia. E’ una proposta inusuale, una sorta di buco nero che assembla lunghi intermezzi di stampo classico (la parte centrale di “Rockets fall on Rocket Falls” riecheggia addirittura l’incedere del Bolero di Ravel) e rarissime concessioni al mainstream (il tempo dispari che subentra all’introduzione distillata di “Motherfucker=redeemer, part I” ricorda talune atmosfere dei Blonde Redhead), spirali elettriche generate da un crescendo furbescamente graduale (i dieci minuti di “Motherfucker=redeemer, part II” lambiscono il rock sinfonico dei Dream Theater, seppure con la correzione – decisiva e peculiare – di strati di scordature di marca Albiniana) ed inaspettate armonie trasognate (il valzer sbilenco dei cinque minuti iniziali di “09-15-00, part I”). Ogni ingorgo generato dalla nutrita strumentazione impiegata è sempre freddamente calcolato, quasi mai ipnotico nè viscerale: alla fine, settantacinque minuti di musica suddivisa in cinque estenuanti movimenti riescono sì ad affascinare obliquamente, ma lasciano l’impressione di essersi abbeverati ad uno di quei torrenti di montagna che rinfrescano la bocca senza dissetare. (Manuel Maverna)