recensioni dischi
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LOUISE ATTAQUE  "À plus tard crocodile"
   (2005 )

Settembre 2005: ricevuto il pacchetto dalla Fnac francese con la mia luccicante copia in edizione deluxe, mi preparai all’ascolto come un adepto che si accinga ad accogliere in religioso raccoglimento le parole di un guru. Era un weekend a casa dei suoceri, dormivo da solo in un lettino semovibile a ribalta in cucina; chiusi la porta, lasciai accesa una piccola luce, infilai il cd nel lettore portatile con mani tremanti e mi predisposi alla consumazione del rito con animo aperto e viva emozione. Mi aspettavo una sberla, una scossa, almeno un brivido, ma – forse per la troppa attesa o per la grandiosità delle aspettative – quasi nulla giunse dalle mie orecchie al mio cuore. Arrivato alla traccia numero otto, spensi il lettore: questa volta non per la troppa emozione, bensì per un’impaurita delusione, o forse soltanto per il fugace disorientamento del comune mortale di fronte alla divinità che venera. Ci riprovai la sera successiva, ma evidentemente non ero pronto ad officiare il rito con la necessaria devozione che esso richiedeva: ancora una volta spiazzato, riuscii comunque a raggiungere il traguardo della traccia numero diciotto, in oltre un’ora di dubbi e palpitazioni. Qualcosa era trapelato, qualche lampo aveva squarciato la tenebra che mi velava l’anima, ma il momento in cui avrei visto la Luce era ancora lontano. Passò una settimana, ed un pomeriggio, mentre in ufficio mi dedicavo allo svolgimento di un lavoro compulsivo, misi il cd nel pc con desolazione colpevole e lo riascoltai per la terza volta, ma ora con mente libera e privo di preclusioni o timori. A metà della traccia numero quattro, il Disegno mi fu chiaro, e vidi la Luce. Avevo sbagliato, e la risposta ai miei quesiti l’avevo sotto gli occhi: mai – e dico mai – Gaetan Roussel & soci, come Louise Attaque o nei vari side-project intrapresi, hanno osato ripetersi, riprendere una formula e riproporla, riciclarsi. Mai, è un dato di fatto: la fresca, vincente, giovanile ed ingenua immediatezza folk del debutto venne gettata alle ortiche due anni dopo per partorire la mortifera tenebra elettrica di “Comme on a dit”, che a cinque anni di distanza viene a sua volta superata, ingoiata e rimpiazzata dalla levigata eterogeneità di “À plus tard crocodile”. Che è un disco lungo e amorevole, placido e ragionato, dolce e meditativo, soprattutto un disco finalmente sereno. Indulgono al gioco, i ragazzi, spargendo qua e là schizzi naif, intermezzi autoironici (“Oui, non” e “Oui, non, encore?”, trenta secondi l’una ad autocitare la frenesia degli esordi), facezie assortite (il fumettistico baccanale elettropop di “Shibuya station”), ed un inusitato coraggio per la sperimentazione: ci sono addirittura tre strumentali - materia nuova per il quartetto, che inaspettatamente li azzecca tutti e tre senza dilungarsi nè annoiare - di cui uno (“A l’envers”) di sette minuti ed uno di cinque (“La valse”), che sulle corde del violino parlante del maestro Arnaud indovina un’aria talmente bella da sorprendere anche il fan più incallito. L’intro a cappella di “La traversée du desert” funge da preludio all’inciso orientale che sorregge “Revolver” (notevole tutto l’impianto del brano, falsamente facile), mentre il canto pigro e suadente di Roussel tocca il vertice del proprio gentile lirismo nell’ovattato mantra esistenzialista – per effetti, violino sciolto e drum machine – di “Sean Penn, Mitchum”, episodio tra i più affascinanti dell’intero catalogo Louise Attaque. Si salta repentinamente al mid-tempo di “Si l’on marchait jusqu ‘à demain”, ballata rock in minore portata a spasso dalla batteria zoppicante, dal basso di Robin che suona una canzone tutta sua, da un riff micidiale e da un giro semplice di incastri perfetti sul quale Gaetan porge confidenziale una storia qualsiasi, ma da lì in avanti c’è un tempo per tutto: per la quiete lunare di “Salomé” (spazzole, riverberi, chitarra jazzy, violino), e per la roboante – ma debole come primo singolo estratto – cadenza monocorde di “Si c’etait hier”, per la mitragliata elettrica di “Nos sourires” e per lo zufolo andino che rende toccante la melodia romantica di “Depuis toujours”, per la disco disimpegnata di “Manhattan” e per la ballata fiabesca di “Est-ce que tu m’aimes encore?”, in un caleidoscopico florilegio di intuizioni, stili ed armonie. Disco ricchissimo per idee profuse, scrittura ed arrangiamenti, con molta, forse troppa carne al fuoco: prova esagerata di una reale e rilassata maturità, album che dà vita all’ultima – probabilmente definitiva - incarnazione dello spirito Louise Attaque sublimandolo in forme nuove ed in suoni levigati, morbidi, in pace col mondo. (Manuel Maverna)