recensioni dischi
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FILTER  "The amalgamut"
   (2002 )

Band di Cleveland in attività dal 1993, seppure con molte pause tra un disco e l'altro, i Filter hanno sempre proposto una miscela tutt'altro che rivoluzionaria di sonorità grunge-metal ("It can never be the same", ad un passo dagli Stone Temple Pilots) e di attitudine fondamentalmente industrial, creando un connubio piuttosto ruvido e violento propulso da una furia sinceramente maniacale. "The amalgamut" non va certo annoverato tra i migliori episodi della loro insolita carriera (i signori vantano addirittura due dischi di platino negli Stati Uniti), ma presenta elementi che lo rendono comunque lavoro non disprezzabile per intenti e potenza espressiva. I brani che lo compongono possono fondamentalmente essere ricondotti a tre tipologie. Ci sono innanzitutto canzoni brutali spinte da riff cingolati suonati sui bassi (il sound è gracchiante e pesante, di matrice metal, qualcosa tra Kyuss, Helmet e Limp Bizkit) nelle quali Richard Patrick propone un'interessante stile di canto, non limitandosi ad urla belluine o al consueto canto-parlato di matrice hardcore, bensì inaspettatamente modulando le melodie nel frastuono generale ("You walk away", "American cliché", le bordate assassine di "Columind" e "So I quit"); troviamo poi ballate di ampio respiro molto ben strutturate ("Where do we go from here" potrebbe appartenere al repertorio del Bon Jovi più trasgressivo, come anche la più riflessiva "God damn me"), ed infine escursioni cervellotiche nell'elettronica-noise su un terreno che confina con gli episodi meno truculenti dei Nine Inch Nails. Gli ultimi due brani ("World today" e "the 4th"), legati in medley, offrono quasi un quarto d'ora di inquietudine tra suggestioni ambient e sussurri subliminali, ad un passo dalla trance e lontanissimi dalle atmosfere nevrotiche del resto dell'album; se nel primo prende forma una canzone vera e propria, nel secondo si materializza una sorta di incubo strumentale soffuso e rarefatto, che chiude il disco lasciando una sensazione sospesa di incompiutezza ad aleggiare sinistramente a mezzaria. Album spiazzante che confonde senza stupire grazie ad un variegato crossover di veemente intelligenza. (Manuel Maverna)