recensioni dischi
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GANG OF FOUR  "Entertainment!"
   (1979 )

I Gang of Four, quartetto originario di Leeds, vengono sovente annoverati d'imperio tra le band considerate seminali nella storia del rock. Sebbene abbiano dato alle stampe solo pochi album, la loro miscela di funky (musicalmente) e punk (per l'attitudine), unite ad una massiccia dose di testi di carattere socio-politico à la Clash, è degna di menzione per l'impatto che ebbe sulle generazioni di musicisti a venire, Red Hot Chili Peppers in primis, ma in generale su molto del decantato crossover tanto in voga negli anni '90. Il connubio tra le due anime - punk e funk - genera una serie impressionante di pezzi vigorosi supportati da una sezione ritmica indemoniata e dalle divagazioni albiniane ante-litteram della chitarra di Andy Gill. Giocoforza, ad oltre trent’anni di distanza dalla pubblicazione le sonorità sono piuttosto datate, ma l'innovatività dell'insieme è addirittura spiazzante. Il canto - che è canto-parlato - sembra provenire dalla stanza di fianco, e la chitarra, che disegna figure cervellotiche con furia maniacale, è mixata due passi indietro rispetto al resto, ma l'impressione complessiva è stordente: pare a tratti di ascoltare gli Stranglers di "No more heroes" (il punkettaccio arzigogolato di "Return the gift", la saltellante "I found that essence rare" e la più lineare "Damaged goods") o addirittura i primi Cure ("5.45"), in un clima disturbato e disturbante di funky metallico deviato. Il trittico iniziale è spaventoso ed estremamente significativo: la cadenza tribale di "Ether" apre il disco dilaniando una cantilena atonale a passo zoppicante, seguita dalle fastidiose irregolarità di "Natural's not in it" e "Not great men", con la voce di Jon King che trafigge in un registro piatto e monocorde melodie quasi inesistenti, mentre il minuto e mezzo di distorsioni che apre "Anthrax" collassa in un brano che non porta a nulla, come i due funky obliqui di "Contract" e "At home he's a tourist". Splendida e suggestiva la chiusura, affidata a "It's her factory", dove su un tappeto ritmico vicino al dub una fisarmonica ripete all'infinito un giro in minore che sorregge l'ennesimo recitato gelidamente sinistro. Album complesso, a tratti geniale. (Manuel Maverna)