recensioni dischi
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LITFIBA  "17 re"
   (1986 )

Durante un sonnacchioso pomeriggio del lontano 1987, Rai 3 mandņ in onda, in una puntata del programma musicale "DOC" presentato da Gegč Telesforo, l'esibizione di una giovane e promettente band toscana gią in attivitą da qualche tempo: i Litfiba. Un paio di minuti pił tardi, le immagini del gruppo che eseguiva prima la folle danza dissonante di "Gira nel mio cerchio" e poi il rozzo garage-rock di "Cane" trafiggevano lo schermo come una trivella. Al di lą delle sonoritą oramai datate e di un certo tipo di struttura compositiva delle canzoni, "17 re" č disco assolutamente geniale nella sua insistente pulsione visionaria, sebbene non abbia contribuito - giudicando ex post - ad elevare o anche solo a spostare gli equilibri dell'indie-rock italico ad un livello nč superiore nč differente. E' semplicemente un gran disco, un compendio di psichedelia pił sostanziale che formale, un sabba di idee in fermento che animano sedici brani dagli sviluppi imprevedibili, dall'apertura a rotta di collo di "Resta" alla cadenza metronomica sospinta da un basso ą la Simon Gallup di "Re del silenzio", dal flamenco di "Vendette" alla fisarmonica gigioneggiante e sinistra di "Tango". E poi la psichedelia vera e propria, riassunta magistralmente negli slow-motion di "Univers", "Come un dio" e "Febbre", e ancora qualche ballata pił lineare ("Sulla terra", "Oro nero", il classico "Apapaia") fino alla chiusura tesa e tiratissima di "Ferito", un capolavoro in quattro minuti. La voce di quel Piero Pelł, allora vero animale da palcoscenico per esibizioni incendiarie e memorabili, ricama ed interpreta con piglio attoriale le divagazioni oniriche ordite dal genio di Gianni Maroccolo e diligentemente sostenute dalla chitarra di Ghigo, essenziale e intelligente quanto basta a colorare di sfumature inattese questi brani spesso vicini alla perfezione; i testi sono curati, sfiorano l'ermetismo in parecchie occasioni, evocano immagini e suggeriscono teorie astrattamente bislacche e labirinti intriganti nei quali perdersi. Disco isolato e irripetibile segnato da una caratura artistica impressionante, qualcosa di unico nella storia del rock italiano degli ultimi vent'anni. (Manuel Maverna)