recensioni dischi
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MARILYN MANSON  "Antichrist superstar"
   (1996 )

Da un punto di vista strettamente musicale, l’ascoltatore medio non conosce bene Marilyn Manson. Per i più, il Reverendo è solo un ciarlatano o un prodotto mediatico, un clown troppo truccato insopportabilmente antipatico, un fantoccio prodotto dallo star-system per scioccare quattro ragazzini idioti, magari spingendoli surretiziamente al suicidio o a compiere stragi in nome del demonio. Ma questo allampanato, allucinato performer è un furbo istrione che ha saputo vestire un personaggio restandogli fedele negli anni, anche quando - come ora - lo shock è superato e svanito ed il mostro non fa più paura nemmeno alle mamme di quei quattro ragazzini di cui sopra. "Antichrist superstar" segnò l'affermazione su scala mondiale di mr. Brian Warner grazie anche - questo sì - ad un'operazione di produzione massiccia e sapientemente ordita dalle menti malate e geniali di Trent Reznor e Dave Ogilvie, che – novelli Malcolm McLaren dietro le quinte - alimentarono la loro creatura dandole in pasto una letale mistura di trucido hard-rock reso violentissimo dalle sonorità adottate e dalle urla atroci dello stesso Manson. Ma musicalmente - ebbene sì - la premiata ditta Manson/Ramirez dispensa non soltanto aberrante violenza stratificata (l'opening di "Irresponsible hate anthem", la fumettistica title-track, le volgarità abrasive affastellate nel porn-rock di "Mister superstar" o la catastrofe rumoristica di "1996"), bensì anche lunghe parentesi di oscura elettronica dal piglio industriale, meno urticanti ma egualmente foriere di sinistra, morbosa e malsana angoscia. E' il caso di "Cryptorchid", sbavata in un registro sommesso, o di "Minute of decay" con una parte di basso che potrebbe arrivare direttamente dalla ditta Robert Smith/Simon Gallup di "Seventeen seconds", o ancora della cadenza omicida per bassi e rigurgiti della micidiale "Kinderfeld", lontana anni luce da quello che è - a torto - considerato il tipico Manson-sound. Una buona metà di "Antichrist superstar" è infatti giocata su sonorità cupe, esitanti (il ritornello di "Worm boy" che non arriva mai, l'incedere incerto e lo sviluppo contorto di "Deformography", la violenza trattenuta e rilasciata di continuo in "The reflecting god"), sospese, sempre cavernose e tetre, solo in alcune tracce (i classici "The beautiful people", col suo assordante rimbombare ritmico, e la quasi mainstream "Tourniquet", che si può addirittura canticchiare, ed è non a caso tra i pochissimi brani noti al grande pubblico) strapazzate da scariche elettriche terrificanti ed urla belluine. Quando cala il sipario sulla ballata dimessa di "Man that you fear", il singhiozzo gutturale di Manson sembra quasi triste, affogato in parole amare che lacerano un amore impossibile: in quei sei minuti che muoiono in una distorsione cieca la Bestia sembra quasi umana. (Manuel Maverna)