recensioni dischi
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VERDENA  "Solo un grande sasso"
   (2001 )

C’è qualcosa di profondamente malsano nelle canzoni dei Verdena, una presenza sorda e strisciante, come uno spirito inquieto che aleggi sinistro e invisibile nell’anima oscura di brani malati. E’ come se in ogni traccia ci fosse qualcosa che non va, un accidente, un errore, un dettaglio fuori posto, mentre curiosamente l’andamento dei brani pare regolare e lineare senza esserlo: lo sviluppo è fluido e continuo, ed anche laddove (spesso) intervengano variazioni alla struttura portante del pezzo, non si ha mai l’impressione di una cesura netta. "Solo un grande sasso" - prodotto da Manuel Agnelli, che compare come ospite in alcuni episodi, ed il cui merito principale sta nel non avere imposto la propria strabordante personalità, concedendo al trio la libertà di vagare in territori impervi - è il secondo lavoro della band bergamasca, che fin dall’acerbo, urticante esordio rappresenta un caso piuttosto isolato all’interno dell’italico panorama indie. Le liriche contorte ed ermetiche di Alberto Ferrari, che si schermisce dichiarando di non dare grande importanza ai testi, se non per la musicalità della parola in sè, giocano tuttavia un ruolo fondamentale nel conferire ai brani un’aria ancora più straniante, così come il suo stralunato stile di canto, che trascina le vocali, esita, incespica, irato o svogliato, snobisticamente annoiato o realmente disilluso, vittima di un imprecisato spleen annidato in profondità. I dialoghi tra la chitarra di Alberto ed il basso di Roberta Sammarelli – che suonano parti molto differenti ma quasi sempre consonanti, sovente su tonalità minori - danno vita ad elaborati intrecci melodici dagli sviluppi imprevedibili, con ritornelli che non sembrano tali (l’esplosione di "Cara prudenza" o il battito felpato di "Onan"), lunghe digressioni nella psichedelia rumoristica (splendida la deflagrazione di "Nova", così come la furia che pervade "Starless" o il crescendo che sventra gli otto minuti di "Centrifuga") e qualche lenta ballata obliqua ("La tua fretta", "Meduse e tappeti"). A prevalere è sempre un noise cerebrale, emotivamente contorto e articolato, proposto con malinconica desolazione e impennate di rabbia cieca ("Buona risposta", "Spaceman"), mai banale e con rarissime concessioni al comune buon senso: anche sotto le mentite spoglie di canzone normale che ammantano "1000 anni con Elide", o in fondo al refrain tagliente che vivacizza "Nel mio letto", resta sempre la sensazione di quel qualcosa che non va, di quella misteriosa anomalia capace di rendere “Solo un grande sasso” così morbosamente affascinante nella sua ondivaga, intensa complessità. (Manuel Maverna)