recensioni dischi
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THE SLEEPING TREE  "Painless"
   (2013 )

''Painless'': indolore. È questo il titolo del nuovo lavoro di The Sleeping Tree, al secolo Giulio Frausin, giovane cantautore friulano, di recente entrato nella scuderia de La Tempesta International. Già conosciuto in Italia (e non solo) come bassista dei Mellow Mood, una delle reggae band protagoniste del panorama internazionale, Frausin raccoglie in questo disco 12 tracce intime, quasi scarne, essenzialmente acustiche, che grazie alla produzione di Paolo Baldini (Tre Allegri Ragazzi Morti, Africa Unite, Mellow Mood) trasformano ogni apparente vulnerabilità in vanto e punto di forza. ''Painless'' è un disco intenso e delicato allo stesso tempo, una buona rappresentazione di quello che il folk acoustico di The Sleeping Tree è diventato negli ultimi anni. Nato nel 2008, questo progetto debutta con un album intitolato ''Leaves and Roots'', pubblicato dalla netlabel tedesca 12rec.net, che totalizza in breve tempo più di 25.000 download, trascinato dalla struggente ballad “Love Is An Eternal Lie”. Dopo una serie di collaborazioni con artisti come Abitare e Jambassa, e parallelamente all’exploit dei Mellow Mood, nel dicembre 2011 The Sleeping Tree partecipa alla ''Xmas Compilation'' di Megaphone Records, etichetta friulana per la quale pubblica alcuni mesi più tardi uno split assieme a Jackeyed. Sempre del 2011 è ''Stories'', EP interamente autoprodotto, cinque episodi di storytelling suggestivi e malinconici. Il tour che ne segue porta The Sleeping Tree in giro per tutta Italia, spesso a fianco di artisti internazionali del calibro di Kaki King, Of Monsters And Men, Daughter. I concerti acquistano una dimensione pian piano più personale, Frausin avvicina all’uso sapiente della chitarra una voce in costante maturazione e un cembalo calpestato e maltrattato come unica percussione. Nel 2013 si chiude in studio con Baldini per fotografare quest’ultima evoluzione musicale. Musicalmente ci vengono ricordati nomi del panorama acoustic folk come Nick Drake, Iron and Wine, City and Colour, senza dimenticare qualche eco reggae qua e là. Il titolo dell’album vuole tracciare un filo comune tra le tracce che lo compongono. Si tratta di riflessioni personali, spesso ispirate da una spiritualità esplicita e consapevole. Frausin non si concede ad una autocommiserazione spesso radicata in un certo tipo di cantautorato, ma propone sempre una chiave di lettura positiva; ma è una positività ragionata, mai frivola, che sa trasformare le avventure del quotidiano in stato di grazia. Nell’assenza del dolore. Track-list: Il brano iniziale ''Jah Takes My Soul'' si racchiude nei versi: “Dovessi morire […], sappi che sto tornando a casa. Abbiamo la vita in prestito: eravamo polvere ma saremo luce”. Un brano d’apertura che è struggente testamento. In ''Heart As A Ghost'', con una semplicità devastante, Frausin invita a dare ascolto alle proprie passioni. Trattarle come fantasmi rovina quello che facciamo e quello che ci circonda. Una versione di questo pezzo è stata utilizzata da Flavio Parenti come colonna sonora della sua ultima fatica cinematografica. ''Going Nowhere'' è un immancabile confronto con un maestro del cantautorato americano: Elliott Smith. Una delicata reinterpretazione “commissionata” da Vulcanophono Collective per una compilation tributo, impreziosita da Filippo Buresta che vi suona pianoforte e organo. ''Sweets Of Helsinki'' è la rappresentazione di come un’amara caramella finlandese può farsi metafora di un paradosso: spesso alcune delle cose che odiamo ce ne ricordano altrettante che amiamo alla follia. Un po’ come quando spuntano i fiori dalla neve e la primavera rompe il ghiaccio. In ''Little Too Often'' palesi echi pop costituiscono il tappeto sul quale ricamare una simpatica invettiva conto chi si dispera al minimo alito di vento e piange “a little too often”. ''Southern Hills'' è invece una dichiarazione d’amore ai panorami del Sud Italia, punto di partenza per una tenera riflessione sulla caducità dell’essere umano e delle sue azioni, che appaiono brevi come un fulmine davanti alla granitica maestosità dell’Appennino. ''Sorcerer'' è una lenta ballad che parla della necessità del mutuo soccorso tra amici. Non saranno incantesimi o magie a cucire le ferite del nostro passato, ma la vicinanza a persone care. In ''Ulysses’ Disciple'' The Sleeping Tree s’immagina moderno Ulisse, ma fallisce nel suo tentativo: lascia casa, con tutte le forze combatte contro le sirene e le distrazioni della vita, ma alla fine vi si abbandona e canta assieme a loro. ''Wings'' è un pregevole esercizio di stile fingerpicking che accompagna il dilemma di un viaggiatore terrorizzato dal volo, del quale – a malincuore – non può fare a meno, perché se è vero che gli aerei sono solamente pezzi di ferro, sono i viaggi a fare di noi ciò che siamo. In ''His Father'' c'è un amico che perde il padre, un’amica sulla cattiva strada, l’io narrante che affronta aspri scontri domestici. E un ricorrente interrogativo: stiamo scappando dalle nostre responsabilità? ''Writing Back Home'' è una lettera ad un ex-amico. Paragonando la rottura di un legame ad una guerra, la soluzione proposta è un armistizio; un doloroso ma reciproco passo avanti come unica via per riparare ai torti subiti… E compiuti. Nella conclusiva ''Jah Guide'' un lento e malinconico crescendo esplode in un grido liberatorio, e The Sleeping Tree si affida alla protezione di un “cuore onnipotente”. Rastafari entra a gamba tesa nel folk acustico!