recensioni dischi
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MOTORAMA  "Calendar"
   (2012 )

Prendete sonorità tipicamente 80’s, tra il post punk e la New Wave, metteteci un pizzico di Indie Rock, e trasportatele fino alle lontane terre di Russia, precisamente a Rostov: ecco i Motorama. Il quintetto originario della città in riva al fiume Don, dopo l’esordio ''Alps'',del 2010, pubblica ora questo nuovo ''Calendar'', uscito per la francese Talitres Records. Ricche tessiture d’arpeggi strumentali e parti vocali si contendono continuamente la scena, rischiando alla lunga di diventare forse un po’ stucchevoli e mielose, ma è un pericolo che si può tranquillamente correre per un album così uniforme e dal gusto spiccatamente pop. Non aspettatevi chitarroni distorti e sonorità caustiche, perchè ci troviamo ad esplorare un territorio caratterizzato da una sostanziale calma ritmata ed innevata, dal retrogusto inquieto, col cantato scuro e baritonale di Vladislav Parshin, linee di basso e chitarra super melodiche, ed una batteria a presa rapida. Pochi e ben definiti elementi insomma, ai quali si può aggiungere anche una manifesta attenzione ai caratteri del paesaggio, che fanno da contorno alle varie esperienze in questione e che, inevitabilmente, ne influenzano il racconto. Già la prima, ''Image'', può essere un perfetto ritratto dell’intero disco, per una nitida immagine d’amore, con tutte le relative implicazioni, al pari della successiva ''White Light''. ''To the South'' è un viaggio pieno di ricordi e suggestioni, mentre ''Rose in the Vase'' è un brano pacato, condito con gradite aperture di synth. Un bell’arpeggio accoglie a braccia aperte le storie della quinta ''In your Arms'', forse un po’ meno convincente delle altre, mentre luoghi segreti e specificità personali sono la matrice di ''Young river''. ''Sometimes'' palesa ancora una volta il carattere unitario dell’album, continuando poi con ''Two stones'' che, sommessamente, continua la definizione di semplici esperienze, ''just like two little stone under water''. La chiusura è affidata a ''Scars'' e all’ottima ''During Years'', con grandi sospensioni melodiche ed una puntuale chitarra acustica. Senza scomodare Ian Curtis e soci, siamo comunque di fronte ad un buon album degli Anni Dieci, incontestabilmente citazionista e con ben pochi elementi di novità che, perdonando il peccato originario d’emulazione, risulta decisamente gradevole e di buonissima qualità.