recensioni dischi
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PONEY EXPRESS  "Daisy street"
   (2008 )

Tali e tanti sono stati e saranno negli anni i side-project dei Louise Attaque – band seminale per i Francesi e per il sottoscritto – da domandarsi se gli stessi Louise Attaque non siano per caso un’ulteriore parentesi o piuttosto una delle molte manifestazioni eterogenee del genio di questi quattro vulcanici musicisti, oramai assurti ad imperitura fama e votati a duratura notorietà. Nel marzo del 2008 Robin Feix, talentuoso ed ombroso bassista dei Louise, vara con la pregnante collaborazione di Anna Berthe, voce deliziosa, bella presenza, buona chitarra e piacevole compagnia, un progetto parallelo sotto il moniker Poney Express. “Daisy street” raccoglie quindici composizioni – in genere piuttosto brevi ed immediate – che si caratterizzano per garbo ed eleganza, per gli arrangiamenti accattivanti e per un sound tanto curato nei dettagli da esaltare al meglio le buone intuizioni compositive del duo. Tutti i brani si mantengono con discrezione nel solco del pop-rock francese tradizionale, non rinunciando a guizzi intriganti che li rendono godibili e - almeno a tratti – gustosamente imprevedibili. La voce suadente e carezzevole di Anna guida le canzoni attraverso un percorso che si snoda fra tre tipi di scrittura: ci sono i pezzi veloci e ritmati (spettacolari i due che aprono il disco, “Paris de loin” e “Les petits matin”, con il basso di Robin che incalza in gola, o la tirata di “Les nerfs a viv”), diverse ballate gentili (“Le complexe du papillon”, “Le bruit du dehors”) ed alcuni interessantissimi episodi cupi che si avvalgono di arrangiamenti più votati all’elettronica. Sono tracce più sperimentali – non stupirebbe se questa fosse la direzione presa per il secondo album, in uscita ad inizio ottobre - tra le quali meritano una citazione il pulsare viscerale di “Poupée”, l’oscuro incedere di “Nobody”, le nebbie avvolgenti e sinistre di “Une actrice” e soprattutto le esitazioni che permettono a “Les femmes de Milwaukee” di lievitare a livelli di tensione quasi spasmodici senza che l’ordigno innescato esploda mai. L’album – che resta sinceramente e puramente bello dall’inizio alla fine per tutti i suoi quaranta minuti – si chiude con il brano più lungo, “St Malo”, introdotto dal suono di gabbiani e di onde che si infrangono su una scogliera prima di aprirsi in una ballata orchestrale che cita il soundtrack di “Twin Peaks” (la frase di basso iniziale) e Petula Clark (l’inciso di chitarra è il tema del ritornello di “Ciao ciao”), mentre racconta con romantico disincanto la fine di un amore davanti al mare d’inverno. Disco ben scritto e ottimamente prodotto, come una colonna sonora per un film che pare di veder scorrere su uno schermo immaginario accompagnato dal dolce fluire di una musica impalpabilmente nobile. (Manuel Maverna)