recensioni dischi
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HOLIDAYS FUTURISME  "Venice to Venice (Foggy days and sunny nights)"
   (2013 )

Claudio Valente ha davvero talento da vendere, e soprattutto ha un pedigree lungo come l'elenco del telefono: leader dei seminali Art Dèco di Mestre quand'era ancora minorenne, realizzò appena 18enne tre e.p. per la indie label veneziana Art Retrò Ideas, per poi militare nei Circle (band con la quale giunse sul palco di Arezzo Wave ed al prestigioso festival francese di Beaune), nei Festamobile (poi Telegram), e infine giungere all'esperienza come lead vocalist in "Le cose dietro al sole", spettacolo/tributo dedicato a Nick Drake. Fu in quell'occasione che intensificò la sua conoscenza con Simone Chivilò, chitarrista, produttore ed arrangiatore di importanti artisti quali Massimo Bubola, premiato come miglior produttore indipendente 2006 al MEI di Faenza: ed è proprio con l'aiuto di Chivilò che Valente, per la prima volta, si mise in proprio, realizzando due ottimi album da solista, ''Un po'(p) più adulto'' del 2009 e ''Maschere nude'' del 2011, nei quali il suo background musicale (new-wave degli anni '80, glam ed indie rock d'oltremanica) si univa magnificamente alla lezione della canzone d'autore italiana. Canzoni come "Se permetti ti spezzo il cuore", ''Giada ha perso un tacco'' e "Stupefatta (stupestar)" invasero pacificamente l'etere di tutta Italia (e non a caso Valente ha denominato la propria etichetta ''Stupefiction Records'', in onore del summenzionato singolo di successo). Ora, il talentuoso artista veneto rinasce in una nuova, ennesima versione, continuando il proprio percorso con l'amico di sempre Simone Chivilò nei neonati Holidays Futurisme (con l'importante ausilio di Virginio Bellingardo alla batteria), in cui Valente torna all'idioma inglese ed alle ambientazioni new wave dei propri esordi, accantonando momentaneamente il proprio amore per la canzone d'autore italiana. Va subito detto che l'esperimento è, ancora una volta, riuscito e vincente: i 14 brani (su tutti ''Radio silence'', primo singolo estratto, e ''A wish'', brani di cui David Bowie andrebbe di certo fiero) sono ammalianti e pregnanti, e ti si cuciono addosso come un vestito perfettamente calzante. Ma, purtroppo, manca il guizzo, lo scatto vincente, che faceva sì che i ritornelli delle prove soliste di Claudio Valente risultassero subito indimenticabili. Non a caso i brani che, alla fine, ti ricordi più facilmente dopo il primo ascolto sono ''Game of chess'' e ''Soul fingers never sleep alone'', diversi dal resto del contesto in quanto del tutto simili, come ambientazione sonora e vocale, ai brani dei due summenzionati album ''italiani''. Certo, quello era pop e questo è Rock, con la ''R'' maiuscola. Ma, a volte, la semplicità di una frase musicale pop può essere più avvincente di un rock perfettamente modellato e cesellato come quello di questo disco. Che, lo ripetiamo, non fa di certo storgere la bocca all'ascoltatore. Ma, nemmeno, gridare al miracolo. (Andrea Rossi)