recensioni dischi
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MINO DE SANTIS  "Muddhriche"
   (2013 )

Ogni qualvolta si ascoltano le canzoni di Mino De Santis, si hanno ben chiare le sue radici, la sua storia, le origini musicali e i suoi ascolti al jukebox. La voce e l'ironia amara di De Andrè, ma anche l'impegno di Stefano Rosso o la compostezza di Paolo Conte. Ma per non abbandonarsi a facili semplificazioni, bisogna fermarsi un attimo e rimettere play. Mino De Santis è a tutti gli effetti un fuoriclasse, unico nel suo genere perchè ama ancora raccontare e lo fa come potrebbe fare un fotografo con le sue istantanee, un pittore impressionista nel fermare tutto su una tela, o il saggio del paese nel riferire vizi e virtù della sua gente. Con dovizia e ironia. Dopo ''Scarcagnizzu'' (Fondo Verri) e ''Caminante'' (Ululati/Lupo Editore), anche in questo terzo album "Muddhriche", che significa ''molliche'' (uscito per Ululati/Lupo Editore), si raccolgono piccoli momenti di vita quotidiana, come fossero proprio molliche minute ed essenziali, messe insieme per farne pane e nutrimento. Ci sono le "macchiette", i personaggi del paese: "Lu prete", scaltro e smaliziato, o la "La bizoca e la svergognata", apparentemente diverse ma "le stesse e l'hanno sempre saputo". C'è la bellezza e la malinconia degli "Anni", passati tra casa, chiesa e sogni di libertà, ma anche il sud amaro dei "Pezzenti" (feat. Nando Popu dei Sud Sound System), quegli immigrati trattati come animali, tra "patruni e capurali", senza diritti o assistenza, pagati venti euro alla giornata ma definiti lo stesso invasori. E tra mandolino e fisarmonica, si continua a raccontare di quei "Radical chic", quelli bravi a dare definizioni, che hanno così poco da dire ma tanto da parlare. A poco a poco le "Muddhriche" compongono il quadro di un uomo che, come ben rappresentato dalla copertina del disco, dall'alto, osserva, riconosce, cerca di individuare quelle briciole, le piccole cose che continuano a dargli godimento. E' un carnevale di personaggi e situazioni, dove si respira a pieni polmoni l'aria scanzonata di un bonaccione che ama quello che compone perché è il suo modo di continuare a credere al sogno di anarchia.