recensioni dischi
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TUPPI  "Greatesthitz"
   (2014 )

Dopo aver composto le musiche per lo spettacolo itinerante “Voci nel Deserto”, siglato la colonna sonora della tappa di “Ferite a Morte” al Teatro Petruzzelli, calcato il piccolo schermo accanto a Serena Dandini ed il palco con Paolo Belli, Tuppi prosegue sulla scena con l’album ''Greatesthitz'', un concentrato multivitaminico di suoni “antichi” e temi moderni, lungo una carriera. Quattordici brani inediti che fotografano il percorso del poliedrico artista nelle sue mirabolanti e spesso inaspettate evoluzioni, e che dimostrano come il suo slancio sia rimasto immutato nel tempo. Quando un dj di pura scuola hip hop incontra la melodia italiana, il risultato è un disco scoppiettante e colorato, capace di miscelare narrazione cantata e rappata, strutture ritmiche antitetiche dove la manipolazione del suono regala espressione ed essenzialità lontano dalla tentazione di sterili virtuosismi. Tuppi usa il microfono per rappare e cantare, le mani per scratchare e dirigere una band di suonatori di ottoni, funambolici rappers e malati di musica, pronti a lasciare tutto per seguire il flow. Le sue canzoni sono la risposta caustica a questi tempi di incertezze esistenziali e politici impresentabili. Sono la sintesi di parole che fanno rima con precarietà, Italia, funk, tasse, casse, joint, buste, sbarroni, sviste e Berlusconi. A dispetto di questa dimensione meditata, dove a contare è solo la scrittura e la forza espressiva, il lavoro di Tuppi è cool, un'architettura di divertimento scanzonato ed ironico che punta all'irriverenza. Dalle strade al mainstream, con un piede sull’asfalto e l’altro sui sofa negli studi vellutati della tv, la vita di un dj hip hop non potrà mai essere scontata e lineare, inquadrabile in categorie utili a scaffali di negozi. ''Greatesthitz'' è la voce di un b.boy degli anni Novanta, partito dagli angoli bui di Bari affollati da hip hoppers, e arrivato a ‘Viva Radio 2’ dal monumentale Fiorello, che rivendica il sacrosanto diritto al party. È la raccolta rap e riccioluta dell’intrattenitore con la bocca al microfono, una mano sul piatto e l’altra sul cuore, che canta commosso l’inno internazionale del funk.