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DENTE  "Io tra di noi"
   (2011 )

Giuseppe Peveri, in arte Dente, è un trentasettenne cantautore di origini emiliane giunto tardivamente alla carriera solista dopo avere ricoperto per un lungo periodo il ruolo di chitarrista in varie band, senza ottenere significativa affermazione. Figura defilata e secondaria nell’italico panorama della canzone d’autore, Dente incarna in parte lo stereotipo (più che l’archetipo) del cantautore loser intimista e sofferente: gli difettano tuttavia la cerebrale eleganza di un Paolo Benvegnù o l’urgenza di un Umberto Maria Giardini, l’espressività istrionica di un Brunori Sas o la dimensione sarcasticamente esistenzialista di Mirco Mariani, la sottile patina depressiva di Colapesce o il piglio pungente di Alessandro Grazian. Nel caso di Dente, un dubbio si insinua strisciante fra le deboli tracce di questo album del 2011: non è chiaro se l’indole che lo guida sia umoristica (“Puntino sulla i”), sarcastica (“Piccolo destino ridicolo”), disfattista (il soporifero opener “Due volte niente”), pessimista (“Giudizio universatile”), se miri a far sorridere o a far riflettere, a commuovere o quant’altro. Intendiamoci: le canzoni – sempre e comunque esili - non sono disprezzabili, sebbene siano inopinatamente limitate dalla voce spenta ed anonima che le veicola. Non c’è brio, verve, vivacità, manca un guizzo, un’intuizione, un minimo di piglio attoriale, una spinta, qualcosa che renda più interessanti brani già di per sè non irresistibili, fiaccati ancor più dal tono dimesso col quale vengono offerti. Nemmeno lontano parente dei molti modelli inarrivabili cui viene talora assai impropriamente accostato (vengono scomodati addirittura Battisti, De Gregori, Gaetano), Dente partorisce canzoni che somigliano più ad abbozzi, accenni di idee inconcluse, appunti incompiuti; sono pezzi che non brillano certo nè per un sofisticato lirismo nei testi, nè per particolari guizzi armonici, ma pur non dispensando nè poesia nè arguzia hanno una propria grazia ovattata e gentile, poggiando su buoni arrangiamenti di stampo orchestrale e su una scrittura che non è mai, almeno da un punto di vista strettamente compositivo, ridotta ai canonici quattro accordi. Il risultato complessivo è decisamente mediocre, nè a risollevare le sorti di un album così incerto ed a conferirgli duratura gradevolezza bastano gli spunti più ispirati (la drammatica “Saldati”, la romantica “Casa tua”); lavoro complessivamente incolore, “Io tra di noi” è disco scialbo e povero di appeal, che allo spegnersi dell’ultima traccia non invoglia al riascolto, nemmeno di un singolo episodio. (Manuel Maverna)