recensioni dischi
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ZUCCHERO FORNACIARI  "Zucchero & the Randy Jackson Band"
   (1985 )

Dura, la vita. Gli andava anche bene, scrivendo per altri, e i vari Michele Pecora, Donatella Milani e Fiordaliso ne avevano tratto beneficio. Aveva anche avuto un boom di vendite, con il belloccio Stefano Sani a miagolar di Lise che se erano andate di casa. Ma, con la sua faccia, proprio non funzionava. Due Sanremo senza lasciar traccia (“Una notte che vola via” e “Nuvola”), un album dimenticato. Ai giorni d’oggi, dopo due flop gli sarebbe stato consigliato di mandar curriculum per fare il magazziniere. All’epoca, lo mandarono negli USA a risciacquar i panni nel blues. Ne tornò con una band, e con una nuova iscrizione a Sanremo. “Donne” venne però stroncata, straultima, con i critici che lo accusarono di maschilismo (“Le sue donne sembrano pu pu pu, altro che du du du!”). Ma, stavolta, il lavoretto non passò inosservato. OK, assomigliava un po’ a “No woman no cry”, ma le radio gli trovarono spazio, tra un Luis Miguel e un Cutugno. E anche l’album, benchè lontano dalle classifiche di vendita, fu apprezzato. Con “Per una delusione in più”, “Ti farò morire”, “Stasera se un uomo mi toccasse”, “Quasi quasi” a farsi sentire, sottovocepianopiano. Era una musica ancora molto italiana, figlia della generazione ’70 da cui l’Adelmo proveniva, ma con un tocco di black a renderla più esotica (ed erotica: se riconoscete la citazione vincete un biglietto omaggio per un concerto di Sandy Marton). Roba quasi inedita, nello Stivale. L’album – possiamo chiamarlo 33 giri, insomma?… - porta a conoscenza canzoni che fanno parte, se si può dire, della discografia minore del Fornaciari, che avrebbe avuto ben altro successo negli anni successivi. Ma è il primo della nuova carriera di Sugar. E “Un po’ di Zucchero”? Rinnegato, tanto che nemmeno viene citato nel sito ufficiale del ragazzone. (Enrico Faggiano)