recensioni dischi
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PAOLO SAPORITI  "Paolo Saporiti"
   (2014 )

Non si intitola un disco con il proprio nome per caso. Non si comincia a scrivere canzoni in italiano – abbandonando l'inglese al quinto disco – per caso. E non si suona musica folk così intima e verace, ma aprendola alle possibilità infinite di arrangiamenti radicalmente sperimentali, per caso. Insomma non si arriva ad un disco come questo nuovo lavoro di Paolo Saporiti seguendo rotte casuali. Dodici canzoni folk, nel genere e nell'indole, ma soprattutto nel senso. Quello di un uomo che per la prima volta si apre come mai era accaduto, levando fra sé e l‘ascoltatore qualsiasi ostacolo – linguistico, ma non solo – per fare i conti con il proprio vissuto e quello delle proprie radici biografiche e famigliari (la copertina raffigura il nonno e il bisnonno di Saporiti). In un disco che è il punto d‘arrivo e ripartenza di un percorso artistico e umano; un lavoro in cui la vita, l'amore e la morte vengono cantati sulla pelle e sulle costole, senza paura di farsi e fare male, ma con la consapevolezza che è questa l'unica strada verso la libertà. “L‘ultimo ricatto” si chiamava il precedente lavoro in inglese di Paolo Saporiti, e questa dichiarazione, insieme alla volontà di intitolare il nuovo lavoro con il proprio nome, spiega al meglio la scelta di libertà definitiva di un songwriter che conosce e maneggia il linguaggio della grande tradizione inglese e americana, lo sa piegare verso rotondità melodiche di grande impatto emotivo (anche grazie ad una voce potente e dalle tante sfumature), ma allo stesso tempo decide di intraprendere una strada di sorprese e agguati sonori. Non si possono chiamare in altro modo, difatti, gli arrangiamenti che Xabier Iriondo (che produce e suona basso fuzz, mahai metak, waraku, field recordings e elettronica) ha concepito per questo disco insieme al titolare e un nugolo di musicisti d‘eccellenza come Cristiano Calcagnile (batteria), Luca D‘Alberto (archi), Stefano Ferrian (sax) e Roberto Zanisi (bouzouki). Detonazioni chitarristiche, ardite architetture d‘archi, sprazzi di noise anticonvenzionale, nevrastenie ritmiche e molto altro formano un‘avventura musicale tutta d‘avanscoperta, dove il contrasto fra la potenza cristallina della scrittura di Saporiti e le mille trovate dei musicisti che lo attorniano creano un qualcosa di unico. Un lavoro di confine, fra classicità e sperimentazione, che di quella fecondità propria di ogni margine si nutre, lasciando vibrare verso l‘ascoltatore canzoni per le quali il respiro, il sangue e la luce non sono solamente parole.