recensioni dischi
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VERDENA  "Wow"
   (2011 )

Alberto Ferrari - artista capace di assemblare snobistica alterigia ed ostentato autocompiacimento da “off-Broadway” - ha evidente orrore della normalità, cui tuttavia inconsciamente tende: in “Wow” come altrove, coi suoi Verdena respinge testardo lo spettro del banale muovendo dai dettagli in apparenza più insignificanti, dalla copertina retrò ai titoli dei brani, dai testi impenetrabili alle contorsioni musicali di canzoni subdole e ondivaghe. Canzoni che, almeno da “Requiem” in poi, somigliano sempre più ad immagini distorte riflesse da uno specchio deformante, canzoni che nascono semplici per mutare in arte ostica grazie a piccoli espedienti di varia natura. Il canto, in primis, che rinuncia a qualsiasi forma di linearità, negli accenti, nel timbro, nel tono; indi le variazioni dei temi melodici, che prendono talora le forme di bruschi stacchi dal tema portante: se “Loniterp” cambia tre volte in quattro minuti - e potrebbero essere tre differenti brani - ed “E’ solo lunedì” indulge nel medesimo scherzo indovinando una melodia interessante, “Miglioramento” si apre su un tema da disco anni '70, prosegue col basso a ricamare trame new-wave e termina su un’apertura orchestrale a sua volta ingoiata da una marcetta da cabaret espressionista. C’è un’esuberante ridondanza che dilaga tra accenni di psichedelia (“Per sbaglio”, “Tu e me”) e suggestioni prog (“Lei disse”), tra riff metal (la cervellotica “Mi coltivo”, che pure cade in area Cure di “Pornography”, la rabbiosa “Attonito”, la spiazzante “Rossella roll over”), blues lisergico (l’irresistibile “Badea blues”) ed intermezzi strumentali talvolta inessenziali, indizi di una infida concezione d’arte che erige un mastodontico e disomogeneo trompe-l'oeil (27 brani in doppio cd) nel quale nulla è ciò che sembra. “Wow” è album che solo a tratti solleva l’effimero drappeggio che lo cela alla vista, regalando sì istantanee di fragilità subito sfregiate dall’ennesimo trucco scenico, ma offrendo melodie brillanti e spunti armonici che lambiscono inaspettatamente un mainstream mai così vicino (“Scegli me”, “Canzone ostinata”, “Nuova luce”, “Le scarpe volanti”, “Castelli per aria”, e si potrebbe proseguire ad libitum), compendio di arzigogolata creatività fondato sull’imprevedibilità dell’insieme. Pregio e limite del puzzle è forse l’onnipresente ermetismo spinto dei testi (il significato di ciascun brano è pressochè ovunque incomprensibile), tanto apprezzabile per intento, quanto - a lungo andare – scelta forzata e disturbante, spia della caparbia alternatività di cui il trio fa spavalda mostra; emblematico di una tendenza irreversibile e distintiva è l’inganno di “Razzi arpia inferno e fiamme”: titolo nonsense, testo visionario che accosta immagini sconnesse, melodia memorabile che può diventare un autentico anthem da canticchiare al parco o sotto la doccia, rigorosamente senza capire a cosa si stia inneggiando. Lavoro di difficile assimilazione, strabordante per intensità e ricchezza, “Wow” è opera che stravolge il concetto di mainstream forgiandolo in fogge inusuali, disco-simbolo di uno stile concettuale che amalgama indie-rock e melodiosità obliqua – l’intuizione che fu dei Marlene Kuntz - in un’opera fatta di molteplici strati sovrapposti, sotto la cui superficie alberga una stralunata, non lineare idea di una diversa forma espressiva in musica. (Manuel Maverna)