recensioni dischi
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CODEINA  "Allghoi Khorhoi"
   (2014 )

Il trio dei Codeina, formatosi oltre quindici anni orsono nell'hinterland milanese e passato attraverso diversi cambi di formazione, pubblica il secondo lavoro sulla lunga distanza a quattro anni dal debutto di "Quore. Hidalgo picaresco". Disco ostico in ogni sua manifestazione, formale o sostanziale (a partire dal titolo stesso - una misteriosa creatura leggendaria che abiterebbe il deserto del Gobi - per proseguire con i titoli dei brani, fino alla brutale forza espressiva che accompagna gli episodi più truci), "Allghoi Khorhoi" sciorina con inusitata ferocia un campionario di espedienti al servizio di un repertorio malignamente deviante. Sfruttando al meglio una sterminata serie di stilemi tipici dell'indie-rock più malsano, dall'uso rimbombante del basso alle urla belluine, dal feedback dilaniante alle cadenze metronomicamente ossessive, il trio getta le basi per un lavoro spesso intrigante, talora manieristico, seppure non privo di un suo contorto appeal. L'assoluta imprevedibilità che caratterizza la band veicola così la roboante ferocia dell'iniziale "22 dicembre", tra un riff da Queens of the Stone Age ed un basso à la Flea, prima di digradare nelle grida sguaiate di "Pasta madre", che al pari dell'incipit di "Medea", nobilitata dagli inserti psycho delle tastiere e dalla violenza intrinseca del testo, riecheggia forse un po' troppo gli Afterhours (zona "Siete proprio dei pulcini"); ma i tre sanno anche pennellare l'amara ballata agonizzante di "Cascando", la scudisciata dissonante à la Verdena di "L'appeso", col suo ingorgo di distorsioni, o l'ambientazione sinistramente noir della psicotica "Ieri", a un passo da Pierpaolo Capovilla. Tra qualche inevitabile caduta di stile ("71", "Crepa") ed un velo di stanchezza che affiora nel finale (lo strumentale "Langley & Homer Collyer" - la citazione è elegante - vaga per sei minuti senza approdare a nulla), l'album raggiunge l'acme della propria creatività, e dà soprattutto sfoggio sopraffino di personalità, nella violenta eruzione di "Kiwi", introdotta da un riff zeppeliniano (forse più affine ai discepoli Cult, periodo "Electric"), e trafitta da liriche grondanti disgusto, oppure nel tapping ossessivo della trascendente "Hikikomori", la cui intensità è genialmente accresciuta da una lenta trasformazione della stasi in dinamismo ritmico. In tempi di contaminazioni - a volte forzatamente improbabili - "Allghoi Khorhoi" è un dolce naufragare in un fragoroso chitarrismo acido e slabbrato, lavoro encomiabile per l'insana barbarie degli intenti, benchè a tratti eccessivamente pretenzioso ed autoindulgente. Band molto interessante, ma attenzione alla trappola che confonde per arte tout-court le velleità da "Off-Broadway": se privata dei contenuti, la nuda alternatività rischia di rimanere fine a sé stessa, e nel caso dei Codeina ciò equivarrebbe ad un delittuoso spreco di ingegnoso talento. (Manuel Maverna)